Roma, Diabolik vide Gaudenzi prima di morire: «Ad Anzio trovi chi ha rubato il tuo oro»

Venerdì 13 Settembre 2019 di Camilla Mozzetti e Giuseppe Scarpa
Diabolik vide Gaudenzi prima di morire: «Ad Anzio trovi chi ha rubato il tuo oro»
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«Te l’ho trovato, ha la barca ormeggiata ad Anzio. Quando mi avvisano che ci va, ti chiamo così te la vedi tu». Fabrizio Piscitelli lo aveva trovato l’uomo che Fabio Gaudenzi stava cercando: Filippo Maria Macchi. È quanto ha riferito lo “zoppo” ai pm. “Diabolik” si era anche recato di persona a casa di Gaudenzi, il 6 agosto, ventiquattro ore prima di essere freddato da un colpo di pistola alla nuca, per dirglielo. Lo “zoppo” gli aveva affidato una missione: trovare Macchi che con lui aveva messo in cantiere e condotto l’operazione per il contrabbando di oro dall’Africa senza restituirgli il denaro che era riuscito a farsi prestare dagli amici “camerati”. In mezzo non ci sarebbe stato soltanto il mancato recupero del credito. Ma anche l’imbroglio in cui era cascato Gaudenzi per la promessa, poi disattesa, di incassare il “premio” che gli era stato garantito da Macchi: una “buona uscita” da un milione di euro per esser riuscito a farsi dare i soldi, che mancavano per avviare l’operazione di contrabbando, da Massimo Carminati, Riccardo Brugia, i fratelli Bracci. I suoi amici “camerati” gli avevano messo in mano il denaro senza fare troppe domande ma chiedendo che venisse poi restituito con gli interessi. 

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La partita in Africa “pesava” 3 quintali d’oro grezzo e avrebbe fruttato svariati milioni di euro. Gaudenzi per gli sforzi sostenuti, avrebbe dovuto ricevere alla fine una lauta ricompensa. Ma non ha mai visto né questa né i soldi che si era fatto dare in prestito: era rimasto con il debito e senza oro. L’operazione sembrava sfumata: Gaudenzi era partito con Macchi alla volta dell’Africa, l’oro era stato preso ma depositato prima in una banca di Dubai senza arrivare in Italia. O almeno, se poi abbia varcato i confini nazionali, Gaudenzi non lo sapeva perché dall’affare era stato tagliato fuori e a distanza di tempo lo aveva capito ma, non potendo lasciare Roma poiché sottoposto alla sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno e di presentazione in caserma, si era affidato a due amici di lunga data per chiedere aiuto: Maurizio Terminali e Fabrizio Piscitelli. 

I due erano stati incaricati dallo “zoppo” di trovare Filippo Maria Macchi il quale, dopo esser tornato dall’Africa e dopo un lungo soggiorno in Brasile, non si era fatto più sentire. Il viaggio era stato lungo e dispendioso: 4 mesi in giro per il Burundi, Congo, Kenya a bordo di un jet privato e un investimento complessivo di 1,5 milioni di euro. Da una parte Gaudenzi doveva rientrare dei soldi chiesti in prestito dall’altra si era visto negare ciò che gli era stato promesso e voleva vendicarsi. Ma non potendo lasciare Roma, aveva sollecitato prima Maurizio Terminali e poi “Diabolik” per essere aiutato nelle ricerche di quello che credeva essere il suo socio. Terminali è stato il primo a trovare Macchi a Siena dove la famiglia era a capo di una squadra di basket. «Va a vedere la partita la domenica», gli avrebbe detto, senza riuscire, tuttavia, a fare di più: Terminali è morto per un’overdose ma Gaudenzi crede sia stato ammazzato. Entra in gioco allora “Diabolik”, forse dietro un accordo economico, che si mette sulle tracce dell’uomo e lo trova. Ma dopo poco muore anche lui. Sono questi gli ultimi dettagli che emergono dall’inchiesta sulla morte di “Diabolik”, il capo ultrà della Lazio ucciso da un killer camuffato da runner nel parco degli Acquedotti lo scorso 7 agosto. Gaudenzi nel corso dell’interrogatorio nel carcere di Rebibbia ha ricostruito ai pm della Dda, Giovanni Musarò e Nadia Plastina, la sua versione sui fatti dopo essersi consegnato il 2 settembre agli agenti di polizia della Squadra Mobile di Roma. Le sue parole sono ora al vaglio degli inquirenti e la Procura dovrà stabilirne l’attendibilità. Ma nel corso dell’interrogatorio-fiume, durato più di 5 ore e poi secretato, Gaudenzi ha spiegato in questo modo il ruolo di Piscitelli e dell’altro amico fascista, Maurizio Terminali, morto a Brescia all’inizio dell’estate. Intanto ieri, la panchina sulla quale Piscitelli è stato freddato e trasformata poi in un simulacro, è stata in parte bruciata dalle fiamme. Non si esclude il dolo né il messaggio intimidatorio.
 

Ultimo aggiornamento: 08:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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