Offese in rete dei leoni da tastiera
Sono i 40-50enni a finire in Tribunale

Sabato 24 Agosto 2019 di Davide Tamiello
Gli agenti della Polizia Postale al lavoro
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VENEZIA - Scarsa informazione e dita più veloci del cervello. Il mix di queste due condizioni, sempre più spesso, è la causa scatenante delle principali controversie su social network che poi sfociano in procedimenti penali per istigazione all’odio razziale, diffamazione, ingiurie. Cause che poi, in sede civile, possono coincidere con richieste risarcitorie onerose. Grane non da poco che potrebbero essere evitate anche con un banalissimo rimedio della nonna: contare fino a 10 prima di scrivere qualunque cosa potenzialmente offensiva.
  «I cittadini ancora non hanno ancora capito che vita reale e vita virtuale non possono essere scisse - spiega la dirigente della polizia postale del Veneto, Anna Lisa Lillini - Facebook è una piazza, e il fatto di agire dietro schermo non costituisce una protezione dalle conseguenze delle proprie azioni».  La polizia postale, negli ultimi due anni e mezzo, ha trattato una cinquantina di controversie in provincia di Venezia legate alle sfuriate sui social (185 in tutto il Veneto). Nel Veneziano, 27 episodi nel 2017, scesi a 12 nel 2018 e poi leggermente risaliti a 13 nel 2019 (però solo nei primi otto mesi dell’anno). In Veneto il trend è più o meno lo stesso: 90 denunce nel 2017, 50 nel 2018 e 45 nella prima parte del 2019. Un andamento che potrebbe trarre in inganno: non significa automaticamente, infatti, che il fenomeno sia in diminuzione. «Raccogliamo la maggior parte delle segnalazioni - continua la dirigente - ma ormai da qualche tempo tutte le forze dell’ordine sono operative sul fronte informatico digitale. Le segnalazioni, quindi, si suddividono tra i vari corpi». Il target più a rischio? A differenza di quanto si potrebbe pensare, non sono i giovanissimi. «I ragazzi, anche probabilmente grazie alle campagne di sensibilizzazione nelle scuole, stanno imparando - prosegue Lillini - stiamo lavorando per limitare il problema di bullismo e cyberbullismo, ma c’è da dire che sono sempre più padroni degli strumenti e attenti a cosa pubblicare o postare». Altro discorso, invece, per quarantenni e cinquantenni: questa fascia d’età, infatti, recita la parte del leone (da tastiera) della stragrande maggioranza di queste particolari attività investigative. «Saper gestire le impostazioni di privacy dei social è fondamentale - aggiunge Michele Fioretto, responsabile della sezione di polizia giudiziaria della Postale - per esempio: le ingiurie sono depenalizzate, ma da lì alla diffamazione il passo è breve. Non avere un profilo “pubblico”, peraltro, può non essere una difesa sufficiente. Dipende dal numero di persone che possono aver visto il post: se un utente ha cinquemila amici, e pubblica senza restrizioni, si parla comunque di diffamazione». E visto che per il codice penale nei social network la diffamazione prende l’aggravante “a mezzo stampa”, il rischio è una pena da sei mesi a tre anni di reclusione. 
Le situazioni più preoccupanti sono quelle che travalicano il contesto virtuale e sconfinano nella vita reale. Un caso recente è quello di un giovane del Sandonatese, protagonista di una foto infelice sotto alla foto di un ragazzo morto in un tragico incidente stradale. Dalle reazioni di sdegno su Facebook si era passati alle minacce, poi messe in atto: qualcuno era riuscito a rintracciarlo e ad aggredirlo. Poi c’è l’episodio di una donna originaria della provincia di Vicenza che era finita nelle mire di uno stalker, che l’aveva perseguitata su Facebook per poi scrivere gli stessi insulti anche con bombolette spray sui muri della città in cui vive. Il caso di un’altra donna, anche lei perseguitata via social da un uomo, aveva messo a dura prova gli investigatori. I numeri di telefono a cui erano collegati gli account, infatti, erano intestati a delle utenze in Texas. L’uomo particolarmente esperto sul piano informatico, aveva utilizzato dei programmi per non essere rintracciabile. Trattandosi di un servizio a pagamento, però, la postale era riuscita a risalire a lui tramite le transazioni della banca. «I contenuti che postiamo - conclude Fioretto - sono carichi di metadati. Una foto, senza troppe difficoltà, è possibile capire dove è stata scattata, quando e con che tipo di macchina fotografica. I social network sono il presente e il futuro, ma non sono al riparo da insidie. Un po’ di prudenza è fondamentale per evitare brutte sorprese». 
Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 14:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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