Pietro, respinto al Cayo Blanco: «Mi hanno umiliato davanti a tutti»

Sabato 10 Agosto 2019 di Monica Andolfatto
Pietro Braga, 18 anni, respinto al Cayo Blanco: «Mi hanno umiliato davanti a tutti»
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CHIOGGIA «Escluso e umiliato, così mi sono sentito. Non ci volevo credere quando il buttafuori mi ha risposto che aveva avuto ordini dall’alto di non fare entrare gli africani. Ho provato più volte a fargli vedere il documento, a dirgli che sono italiano, che la mia famiglia è di Adria. Ma niente. E quando ho telefonato a mia mamma pure lei era incredula e mi ha quasi rimproverato: “Avrai capito male, vai a riparlargli”, così ho fatto, Ma non è servito».

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A parlare, con accento basso polesano, è Pietro Braga, il 18enne di origini etiopi, che si è visto negare l’ingresso al Cayo Blanco di Sottomarina (Chioggia) per il colore della pelle. Un episodio di razzismo, documentato dalle indagini svolte dai carabinieri, che insieme ad alcuni fatti di violenza registrati dalla polizia, ha indotto il questore di Venezia, Maurizio Masciopinto, a chiudere per 15 giorni lo stabilimento balneare centro della movida giovanile del  litorale veneto. Appena maggiorenne con un recente passato da centrocampista fra le giovanili della Spal, Pietro afferma sicuro che il suo futuro non è nel calcio. Bensì nello studio. Vuole fare il chirurgo e appena terminato lo Scientifico si iscriverà all’università a Pavia con i corsi in inglese, perché il suo sogno è salvare le persone. «Pietro non è il mio vero nome. Il mio vero nome, quello riportato nella carta d’identità è Ashenafi, che significa vincitore. Avevo otto anni quando papà e mamma mi hanno adottato - continua - e mai prima della serata a Sottomarina mi era successo di essere rifiutato e tanto più in quel modo. Quando è intervenuto anche il responsabile della sicurezza pensavo che la cosa per quanto antipatica si risolvesse, invece, ha rincarato la dose, affrontandomi e gridandomi che “qua dentro i neri non entrano”. Allora ho ritelefonato a mia madre che ha deciso di raggiungermi».
I GENITORI
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E mi sono trovata con un energumeno che mi ha parlato a due centimetri dal naso per intimorirmi. L’impressione che ho avuto è che se non fossi stata donna avrebbe usato le maniere forti. Gli ho chiesto spiegazioni. Mi ha ripetuto quanto detto a mio figlio, che avevano sorpreso dei neri a rubare borsette e catenine in discoteca e che quindi tenevano fuori tutti quelli di colore. Ma vi pare possibile una cosa del genere? Totale assenza di ascolto e di volontà di incontro». Il marito Silvano, agricoltore, aggiunge: «In questa brutta vicenda che noi abbiamo voluto denunciare perché non si ripeta mai più, c’è qualcosa che va oltre la discriminazione razziale, c’è tanta ignoranza, tanta prepotenza. Mi stupisco che il gestore affidi la vigilanza a personaggi del genere. Ad Adria tanto Pietro quanto la sorella naturale non hanno avuto alcun problema, sono perfettamente integrati». Pietro era con altri sette amici, fra cui una ragazza, che gli hanno dato man forte e che se ne sono andati insieme a lui: «Quando i due sorveglianti hanno sentito che chiamavano i carabinieri e pure l’avvocato hanno perso la testa - racconta - aggredendoci verbalmente. Se mi sento diverso? No perché io non sono diverso. E lo dico anche al ragazzo che a Jesolo è stato trattato allo stesso modo: devi denunciare, non sei tu quello che si deve vergognare». Intanto su quanto accaduto a Sottomarina, l’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ha aperto una propria istruttoria.

Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 11:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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