Carlo Budel: «Un giorno ho deciso di lasciare il posto in fabbrica e venire a 3.343 metri, sulla Marmolada»

Domenica 14 Luglio 2019 di Raffaella Gabrieli
Carlo Budel: «Un giorno ho deciso di lasciare il posto in fabbrica e venire a 3.343 metri, sulla Marmolada»
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BELLUNO - Carlo Budel, bellunese di Santa Giustina, dal 2018 è il custode della Capanna Punta Penìa sulla regina delle Dolomiti. Qui a 3.343 metri, postando foto sui social racconta la vita sulla cima, dall'alba al tramonto, la neve estiva e le tremende burrasche: «Un giorno ho deciso di lasciare il posto in fabbrica ed eccomi qui». Oltre 90 mila seguaci da tutto il mondo.



IL PERSONAGGIO
Una giovinezza irrequieta, un rapporto di odio-amore con la famiglia, una profonda insofferenza per il lavoro in fabbrica. E poi la redenzione. «L'amore per la montagna mi ha fatto scoprire i veri valori della vita e a oltre 40 anni, sulla cima più alta delle Dolomiti, sono rinato». Carlo Budel, custode della Capanna Punta Penìa, rifugio posto sulla  sommità della Marmolada nonché re dei social network, si racconta. Lo fa attraverso un libro, che ha quasi una valenza catartica: La sentinella delle Dolomiti - La mia vita sulla Marmolada a 3.343 metri d'altitudine (Ediciclo Editore, 140 pagine, 15 euro). E così, dopo aver fatto sognare migliaia di persone con i post di tramonti e cime mozzafiato nel suo profilo Facebook, egli ripercorre con il lettore il suo passato sino a giungere alla volontà di cambiare vita, passando dall'angoscia del vivere giorno dopo giorno in azienda alle emozioni e ai sentimenti provati quando, nomade tra le cime, si definisce finalmente un uomo libero.
ADDIO SCUOLAIl racconto parte da quando Budel era bambino, con una esistenza suddivisa tra il paesino d'origine San Gregorio nelle Alpi, nel Bellunese, e la cittadina di adozione Lavis, in Trentino, dove il padre emigrò per lavoro con la famiglia. «La scuola non mi è mai piaciuta così come il catechismo - afferma Budel, classe 1973 - Non ho mai capito come si possa costringere un ragazzino a stare per ore fermo immobile mentre la natura ci indurrebbe a camminare, esplorare, scoprire». E infatti egli, con il passare degli anni, è sempre più alla scoperta del nuovo e dell'avventura. «Negli anni - ricorda - li ho voluti provare un po' tutti i brividi forti: il lancio con il parapendio, la sciata con lo snowboard, il tuffo da un ponte con il bungee jumping, il concerto trasgressivo dei Guns n Roses e, ancora, le corse con l'amata Renault 5 Turbo». Insomma, un'adolescenza movimentata caratterizzata anche da momenti difficili come quando, a 19 anni, perse il miglior amico per overdose. Ma poi vennero gli anni della naja, tra la Carnia e Torino, con il ritorno alla valorizzazione di ciò che da piccolo, trascorrendo i weekend dai nonni a San Gregorio, amava fare: andare a funghi, pescare nei torrenti e, soprattutto, scalare le montagne. A cominciare dalle amate Vette Feltrine, con il monte Pizzocco su tutte. È a 22 anni che Budel deciderà di trasferirsi nel Bellunese e qui troverà un lavoro fisso in fabbrica che però, ben presto, rivelò i suoi limiti. «Andavo avanti per inerzia - ricorda - Io, che ero stato da sempre un ribelle, mi ero fatto assorbire da una routine incolore. Mi sentivo ingabbiato dentro un destino che sembrava immutabile. Ero alla perenne ricerca di un equilibrio che non trovavo».
LA LIBERAZIONE«Era da tempo che ci pensavo - narra Budel -: ma mollare un posto fisso in un periodo di crisi com'era quello in corso era cosa da pazzi. I miei genitori me lo continuavano a ripetere. Ma io non ce la facevo più e così, dopo averci rimuginato, un giorno, semplicemente, non mi sono presentato in fabbrica. Era un lunedì, il 15 febbraio 2016. Ero pronto, anche quella mattina come da vent'anni a quella parte, a salire in macchina e dirigermi verso Santa Giustina Bellunese, sede dell'azienda di cui ero dipendente. Ma quell'auto, invece, all'improvviso l'ho diretta a nord, verso le Vette Feltrine e il mio amato Pizzocco, la prima cima salita a 3 anni in spalla a nonno Nanni. Se stai male con te stesso - sottolinea Budel - non sarai felice. Se invece impari ad ascoltarti e a seguire i tuoi sogni e le tue aspirazioni non c'è più bisogno di rincorrere l'impossibile: la felicità, semplicemente, la si troverà a chilometri zero». Da quella data simbolo Budel si prese più di un anno sabbatico in cui ha percorso 456mila metri di dislivello: un valore quasi da record.
IL GRANDE AMORESe in amore qualche delusione c'è stata, grande fedeltà Budel l'ha riscontrata nell'amica della sua vita: Paris. Un cane meticcio che negli anni lo ha accompagnato in tutte le sue escursioni, ad esclusione di quelle più pericolose. «Poche altre volte in vita mia - afferma - ho riscontrato tale e tanto affetto incondizionato». Ma il sentimento più profondo Budel l'ha provato per la montagna: «In senso lato per lo stato di benessere psicofisico che riesce a generare in me - spiega - e poi, nello specifico, verso il Pizzocco, il Pelmo e l'Antelao. Su quest'ultima cima ho vissuto il momento più brutto della mia esperienza alpinistica. Era luglio e di rientro dalla cima trovai un'enorme lastra di ghiaccio che per scendere avrei dovuto attraversare per forza. Peccato che senza ramponi, come mi trovavo in quel momento, avrebbe implicato una quasi certa drammatica caduta a valle. Ho atteso tempo cercando di capire cosa fare fino a quando, come quasi un angelo, comparve un fotografo di nazionalità ceca che, lui sì con i ramponi, mi accompagnò passo a passo, generosamente, nel delicato passaggio. Un episodio che a posteriori mi ha fatto comprendere come la montagna non sia assolutamente da prendere sotto gamba. Tant'è che da allora mi muovo sempre con tutta l'attrezzatura del caso».
PRIMA MARMOLADALa prima volta al cospetto della Marmolada avvenne presto, nel 1990. «Stavo lavorando per la stagione estiva al rifugio Dolomia della famiglia Soraruf. Là, dal passo Fedaia, osservavo la Regina con rispetto e timore. La prima salita risale a molti anni dopo: era il 14 settembre 2014 e con due amici da Pian dei Fiacconi, con ramponi e piccozza, superammo il ghiacciaio e raggiungemmo la cima e Capanna Punta Penìa. Fu allora che il tempo cambiò all'improvviso: freddo, neve e nebbia ci circondarono. Sinceramente, non vedevo l'ora di scendere. Come prima ascesa fu veramente frustrante e deludente. Mi invase una sensazione di inconsolabile tristezza. Mi chiesi come il gestore del rifugio potesse vivere lassù per mesi, spesso solo e in balia del maltempo. Senza sapere, ironia della sorte, che un domani quel ruolo l'avrei ricoperto io».
LA REGINAL'incarico di custode di Capanna Punta Penìa venne assegnato a Budel, dal proprietario Aurelio Soraruf. nel giugno del 2018. Costruito negli anni 50 per dare riparo agli alpinisti più arditi, su un'area di confine tra quelli che furono il Regno d'Italia e l'Impero austro-ungarico, il rifugio può accogliere a dormire una decina di persone. È diventato uno dei luoghi più ambiti dai fruitori di Facebook (soprattutto dai quasi 90mila iscritti al gruppo DoloMitici) grazie alle foto e ai video suggestivi che Budel ha iniziato a pubblicare fin da subito. E quindi i tramonti dai colori unici, le nevicate in pieno agosto, la colazione a base di strudel con vista da urlo. Migliaia e migliaia i like conquistati, a firma di persone che attraverso quelle immagini sognano, probabilmente, di trovare il coraggio che ebbe Carlo qualche anno fa: mollare tutto e inseguire un sogno. «Oggi - chiude Budel - so che non avrei potuto fare a me stesso un regalo più bello».
Raffaella Gabrieli
Ultimo aggiornamento: 16 Luglio, 11:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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