Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Le tessere del Domino non restano in piedi
Neanche De Palma. Si salva solo Donaggio

Giovedì 11 Luglio 2019
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Tenendo conto di tutte le turbolenze successe durante (e dopo) la lavorazione, “Domino” non è così brutto come molti sostengono. Certo siamo lontani dalla creatività generosa del miglior De Palma e le ossessioni hitchcockiane francamente ormai sembrano l’appiglio, riciclato all’infinito, per soddisfare le proprie esigenze artistiche e anche quelle dello spettatore. Così alla fine l’aspetto più gratificante di tutta questa operazione complessa, disordinata, conflittuale è la colonna sonora di Pino Donaggio, giunto all’ottava collaborazione con il regista americano, e ancora una volta capace di destreggiarsi con grande abilità e fantasia all’interno dell’ennesimo crocevia di narrazioni ingolfate, con sonorità e richiami sempre sorprendenti, non solo per l’elaborazione raveliana del “Bolero” nel finale.
Siamo a Copenaghen. Il poliziotto Christian dimentica per sbadataggine la pistola d’ordinanza e così subito dopo non riesce a intervenire affinché un collega non finisca con la gola tagliata per mano di un terrorista islamico. Ma le cose sono assai più complicate e quello che sembra un potenziale pericolo per la comunità, in realtà è tutt’altro. E certo la CIA non manca.
“Domino” è un film che De Palma non riconosce come suo e quello che vediamo infatti non è esattamente quello che il regista aveva in testa all’inizio. Si dice che i tagli arrivino a una trentina di minuti e quindi è anche difficile dare un giudizio pertinente. Ma certo dopo l’insuccesso di “Passion”, questo probabilmente sarà un colpo definitivo alle speranze di poter rivedere non tanto un suo grande film, ma almeno sapere che De Palma sia messo nelle condizioni di poter lavorare come meglio crede e come meriterebbe, visto il suo illustre passato che le grandi produzioni hollywoodiane, crudelmente, sembrano aver dimenticato.
Detto questo ci sono almeno due grandi sequenze. La prima è quella già citata, molto teorica che si riappropria delle dinamiche di “Vertigo” e che per una decina di minuti ripropone l’ennesima lettura su tempo e spazio, dove il cinema trova l’esaltazione di costruire una suspense ancora prodigiosa. La seconda è nel finale quando l’azione si sposta in un’arena durante una corrida: anche qui, pur in una sequenza assai tormentata anche durante la lavorazione, gli istanti che precedono il tentativo di un attentato sono saldati in una tensione a tratti ancora magistrale. Ma il film non può reggersi solo su questo e tutta la trama, gli intrecci, i personaggi, gli attori (da Nikolaj Coster-Waldau a Carice van Houten e Guy Pearce), i raccordi si perdono in uno sconclusionato susseguirsi, dove quasi nulla ha forza attrattiva. Il digitale appiattisce poi tutta un’estetica da anni ’80, che avrebbe meritato miglior visione. In definitiva questo “Domino” rovescia subito tutte le sue tessere e in piedi non resta più nulla. Peccato. Voto: 5.
 
 
  Ultimo aggiornamento: 11:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA