Il collasso della civiltà umana non è così lontano come potremmo immaginare. Il 2050, potrebbe essere proprio l'anno in cui, a causa dei cambiamenti climatici, gli ecosistemi terrestri crolleranno, dall’Artico all’Amazzonia alla Barriera corallina. Questo è quanto emerge nella ricerca condotta da Ian Dunlop e David Spratt, un ex dirigente dell'industria dei combustibili fossili e un ex capo della Difesa Australiana. L'analisi, pubblicata dal Breakthrough National Centre for Climate Restoration - un centro di ricerca e innovazione a Melbourne, in Australia - descrive il cambiamento climatico come «una minaccia su breve-medio termine all'esistenza della civiltà umana» e delinea lo scenario catastrofico a cui, se continuiamo a fare finta di niente, è ben plausibile che arriveremo nel giro di 30 anni.
The world as we know it could end in mere decades if drastic changes aren't made to mitigate climate change, according to an analysis by the Breakthrough National Centre for Climate Restoration https://t.co/w9vbguxBep
— ABC News Politics (@ABCPolitics) 5 giugno 2019
Alla base c'è l'idea che gli "Accordi di Parigi" sul clima non abbiano analizzato correttamente i rischi del riscaldamento globale, prevedendo un aumento di 3 gradi entro il 2100 (troppo poco in quanto secondo gli autori non si tengono in considerazione i "long term carbon feedback” per cui la Terra tenderebbe ad amplificare i cambiamenti climatici in negativo).
Per i riceratori, secondo cui in quel momento si raggiungeranno i 3°C di riscaldamento globale, si assisterà al collasso di ecosistemi fondamentali, dalla barriera corallina alla foresta amazzonica. Il quadro dipinto è preoccupante: il 35% della superficie terrestre, dove più della metà della popolazione mondiale, potrebbe essere investita da terribili ondate di calore per almeno venti giorni all’anno; inoltre le zone del Mediterraneo, dell’Asia occidentale, del Medio Oriente, del sud-ovest degli Usa e dell’entroterra australiano potrebbero diventare inabitabili.