Bellisandra, nobildonna ed eroina della Serenissima

Lunedì 17 Giugno 2019 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
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In quei giorni di guerra l'assedio ottomano di Nicosia le aveva già portato via il marito, Pietro Albino, Gran Cancelliere di Cipro, rimasto ucciso nel corso della battaglia con la quale l'inarrestabile avanzata turca aveva infine conquistato la città. Ma Bellisandra Maraviglia, fatta prigioniera e avviata a un destino da schiava, decise diversamente per sé e per le sue compagne di sventura.
Quel biennio, il 1570-1571, fu un periodo difficile per Venezia e per l'Europa in generale. Gli equilibri del mondo stavano mutando e Selim II, figlio e successore al trono di Solimano il Magnifico, aveva messo da tempo gli occhi sull’isola di Cipro che era veneziana da poco meno di un secolo, da quando Caterina Corner, vedova di Giacomo da Lusignano, aveva posto l'intera isola sotto la protezione della Serenissima. Cipro era cantata dai poeti come il “regno degli amori, albergo delle Grazie e dominio di Venere”; vi si produceva zafferano, cotone, riso e sale che i veneziani esportavano ovunque. L'onda d'urto degli ottantamila uomini comandati da Mustafà Pascià fu retto finché fu possibile, dai mille e cinquecento soldati asseragliati tra le mura, ma ben presto l'esercito ottomano riuscì a irrompere a Nicosia, dando vita al copione violento e scontato che tristemente si ripete nei secoli in ogni guerra: saccheggi, stragi, stupri. In poche ore furono massacrati ventimila abitanti della città, mentre una buona parte di loro – soprattutto le donne e i bambini – furono fatti prigionieri in massa. Nell'ultimo baluardo rimasto, il castello di San Teodoro, un manipolo di uomini guidato da Pietro Pisani, dal governatore dell'isola Nicolò Dandolo e dal vescovo Francesco Contarini, tentò disperatamente di resistere per ore; ma quando anche la cavalleria del pascià di Aleppo intervenne a dare manforte alla fanteria turca, fu immediatamente chiaro che tutto era perduto. Mustafà Pascià fece pervenire ai veneziani un'offerta di resa, in cambio della vita, ma quando gli assediati deposero le armi furono inesorabilmente passati a fil di spada, uno a uno. La testa del governatore Dandolo fu fissata su una picca ed esposta sui bastioni, perché tutto l'esercito potesse vederla. Era il 16 agosto 1570. Arrivata che fu la notte, dopo che i festeggiamenti si erano protratti a lungo, cadde il silenzio sull'accampamento e sul porto di Nicosia, rotto solo dal lamento dei feriti. Sulla nave ammiraglia le donne di maggior lignaggio aspettavano di partire per Costantinopoli, l'indomani: sarebbero state esibite al sultano come tributo di vittoria, prima di essere avviate al mercato degli schiavi. Tra loro si trovava appunto Bellisandra Maraviglia, sorella di Giovanni, segretario del Senato veneziano. Notato un allentamento nei controlli, la donna si consultò concitatamente con la contessa di Tripoli e con altre donne cipriote, poi prese la sua decisione: impadronitasi di una torcia ed elusa la sorveglianza, raggiunse la polveriera della nave e prima di poter essere fermata diede fuoco ai munizionamenti. L'esplosione che ne seguì fu terrificante, e investì altre due navi piene di marinai e prigionieri che stavano ormeggiate ai lati dell'ammiraglia. Dall'incendio che ne scaturì, racconta lo storico della Serenissima Andrea Morosini, si salvarono il solo scrivano dell'ammiraglia e sei marinai. Assieme ai suoi aguzzini, si narra che Bellisandra Maraviglia portò con sé un migliaio di donne destinate alla schiavitù. Fu un gesto che destò grande impressione, e la macchina propagandistica anti-ottomana vi attinse nei decenni successivi. Ma l'atto estremo di Bellisandra Maraviglia, sebbene riuscì a risparmiare a lei e alle sue compagne di prigionia un destino da schiave, non mutò l'esito di quella campagna militare ottomana, né ridusse minimamente la gravità della perdita della capitale cipriota, preludio alla definitiva perdita dell’isola, poco prima che i destini incrociati di veneziani e turchi – dopo essere passati per il lungo assedio di Famagosta difesa da Marcantonio Bragadin – si incontrassero a Lepanto per un momentaneo epilogo di quel biennio.
Ultimo aggiornamento: 18 Giugno, 09:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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