Zonin si difende: «Le baciate? Il Cda non sapeva, dispiace per i soci»

Mercoledì 22 Maggio 2019 di Maurizio Crema
Gianni Zonin (a sin) nell'aula bunker di Mestre con il suo avvocato Enrico Ambrodetti
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MESTRE -  L'imputato Gianni Zonin si presenta a sorpresa al processo di Popolare Vicenza e si siede in prima fila con quello che era uno dei pochi suoi critici in cda, l'ex consigliere Giuseppe Zigliotto, anche lui a giudizio in aula bunker a Mestre. A quasi quattro anni dalle sue dimissioni dopo 19 ininterrotti di presidenza, Zonin ai cronisti racconta la sua verità: «Il cda non sapeva delle baciate, la Popolare di Vicenza era una banca cooperativa che ha sempre cercato di fare credito al territorio, anche dopo la crisi del 2008», quando altre banche di respiro nazionale chiudevano i fidi.
È la versione che Zonin diede anche alla Commissione parlamentare d'inchiesta sui crac bancari e che ribadisce anche ieri, spiegando che «dal 2011 abbiamo iniziato a chiedere che gli imprenditori aiutassero la banca, forse in quegli anni abbiamo corso troppo e come banca siamo rimasti a un'organizzazione ancora di un mondo agricolo. Ma quello che abbiamo fatto è sempre stato fatto per tutelare i clienti e anche i soci». Zonin assicura: «Sono convinto che da questo processo piano piano emergerà la verità. Oggi sono qui per la prima volta in aula, ma penso che sarò più presente per essere a fianco dei miei legali», dice l'ex presidente per 19 anni che spesso ha interloquito nel corso dell'udienza con il suo avvocato Enrico Ambrosetti. In una pausa del dibattimento, pungolato sulla fine della banca e l'azzeramento degli investimenti dei 118mila soci, Zonin si limita a dire: «È un dispiacere grande per tutti, per il Cda, per dipendenti e i clienti». Pacato, con voce fioca, evitando di rispondere alle domande più dirette, Zonin conclude: «I clienti li abbiamo aiutati sempre, quelli che hanno perso sono i soci, ma non c'entra il Cda». Assolvendo il cda, automaticamente Zonin assolve anche se stesso, leader di quel vertice.
SFILATA DI MANAGERL'ex presidente si dice pronto a collaborare quando verrà il suo momento di parlare, ma prima dovranno passare dal processo in aula bunker decine di testimoni dell'accusa, a partire da Francesco Iorio, il manager chiamato al posto dell'ex Ad Samuele Sorato (imputato in un processo connesso) per salvare la banca nel giugno del 2015 e poi dimessosi a fine 2016 per far posto a Fabrizio Viola quando ormai la situazione di BpVi era quasi compromessa. Zonin fu costretto ad assumere Iorio, voleva far tornare in plancia il fedele Divo Gronchi. E già in passato l'ex presidente è stato critico nei confronti dell'ex Ad: «Ha molto contribuito al disastro della nostra banca», il suo giudizio nel dicembre 2017 davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta.
A sfilare ieri sul banco dei testimoni tre manager d'alto livello dell'istituto, sentiti dai pm e dagli avvocati difensori sull'affare della baciate. «Sono venuto a conoscenza dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni della banca nel 2011 - la dichiarazione per esempio di Gian Maria Casarotti, dal 2012 al 2014 capo area di Treviso - per la mia zona era un fenomeno limitato, venivano offerte solo a determinati clienti o soci con merito creditizio. Avevamo circa 10mila soci e un miliardo di impieghi, l'importo dei finanziamenti per l'acquisto di azioni ammontava solo a 10 milioni. Rimasi basito quando seppi che la banca aveva complessivamente oltre un miliardo di baciate, fui molto colpito dal fenomeno». Casarotti, come l'altro collega Luigi Veronese, racconta di una banca che dal 2013 imboccò una strada sempre più sdrucciolevole con la tensione che cominciava a tagliarsi a fette fino a raggiungere l'apice nell'autunno del 2014, quando venne deciso dal cda un finanziamento pre deliberato di un miliardo che aveva anche l'obiettivo di far sottoscrivere azioni di BpVi ai clienti più solidi attraverso finanziamenti per operazioni mobiliari e immobiliari, formula che secondo i testi coprì sempre il reale obiettivo quasi come una parola in codice per operazioni che erano a «conoscenza di tutti all'interno della banca, presumo anche del cda, e ci fu assicurato che erano perfettamente lecite e a conoscenza della Banca d'Italia».
LETTERE DI RIACQUISTOIncalzato dalle domande dell'avvocato di parte civile Paolo Ciccotti su un finanziamento di 20 milioni a una famiglia di soci vip deliberato anche anche per sfruttare queste «occasioni dei mercati», il manager ora di Intesa ha un attimo di emozione: «Scusatemi, non era stato un periodo per niente facile, io ci credevo nella banca e comprai azioni di BpVi nei due aumenti di capitale con mezzi propri e le feci acquistare anche ai miei familiari. D'altronde la Popolare di Vicenza cresceva, aveva anche lanciato un'Opa per comprare l'Etruria, solo a fine del 2015 ho saputo che non era quello il valore delle azioni». Certo, in banca giravano lettere di impegno di riacquisto delle azioni finanziate con anche rendimenti incorporati, c'erano gli storni (cioè interessi corrisposti) per premiare chi investiva. «Pratica che ho sempre criticato con i miei diretti superiori e che veniva gestita da altre direzioni. Io ho firmato solo una lettera di riacquisto, ma fu l'unica e la pratica venne regolata dall'ufficio soci, ma era un fenomeno assolutamente marginale, almeno nella mia area. E non feci mai pressione per farle sottoscrivere». C'è chi però si oppose alle baciate, o come venivano chiamate in codice, «operazioni k»: il consulente private Antonio Villa, che si dimise nell'estate del 2015.
CONDOTTE DIFFUSEAlla fine di oltre sette ore d'udienza gli avvocati delle parti civili scuotono la testa. «In fatto di dati ci sono ricordi ben precisi, sui nomi no. Ma noi pensiamo che nulla si muovesse all'interno della banca all'insaputa di Zonin», dice Michele Vettore. L'avvocato Ciccotti va anche più in là: «Non è escluso che la presenza di Zonin sia stata anche una forma di pressione sui testimoni». La prima di una serie, almeno stando alle promesse dell'ex presidente: «A sentire i testimoni le condotte poste in essere dalla banca erano così capillari e diffuse che solo le favole potrebbero raccontarci che chi la governava non ne sapeva nulla», dichiara Barbara Puschiasis, presidente dell'associazione Consumatori Attivi, che aggiunge: «Le ipotesi sono due. O ci troviamo davanti ad una grave negligenza e imperizia dei componenti del cda, oppure ci troviamo di fronte a marziani che hanno vissuto sulla Luna per decenni, percependo comunque i compensi, di certo non modesti, per le cariche assunte». Questione che dovrà essere risolta in questo processo che si annuncia lungo e denso. Domani si ricomincia.


    

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