Da ministro degli Esteri, firmò il Trattato di Maastricht che dette vita all'Unione Europea. Era il 1992. Gli anni Ottanta erano finiti da poco e, con Tangentopoli, in breve sarebbe stata archiviata la Prima Repubblica. Gianni De Michelis, morto a 78 anni nella sua Venezia dopo una lunga malattia, è stato un simbolo dei primi e della seconda. Nel giorno dell'addio, anche chi gli è stato avversario gli ha riconosciuto un ruolo da protagonista di quella stagione politica. De Michelis uscì di scena con Mani Pulite. «I procedimenti contro di me furono una trentina - ricordò al Corriere della Sera - Per non diventare matto, mi dissi che dovevo trovarmi qualcosa da fare. E passare dalle discoteche alle biblioteche».
Pur fiero delle radici veneziane, De Michelis è il ministro che più ha rappresentato la 'Milano da berè. Le serate goderecce del socialista dai capelli lunghi e dal fisico rotondo erano la fotografia di un'Italia che voleva mostrarsi dinamica e spensierata. Gli piaceva la bella vita e belle donne. E se ne circondava. «La condizione per fare politica - raccontò a una tv tedesca - era di potermi divertire. Ballavo di notte, ma dopo 14 ore di lavoro al ministero. Però le mie feste erano le più belle, anche di quelle di Pomicino». Enzo Biagi soprannominò de Michelis «un avanzo di balera».
Lui non se la prese troppo.
Per il presidente del parlamento europeo e vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani, De Michelis «è stato un grande politico, e un uomo di grandissima intelligenza». Messaggi sono arrivati da diversi schieramenti, da +Europa allo Psi ai sindacati. «La storia di questa democrazia è fatta di personalità che ne hanno segnato il corso - ha detto il segretario Pd Nicola Zingaretti - sicuramente, lui è stato una di queste, non c'è dubbio». Bobo Craxi era rimasto legato a De Michelis. «Una volta - ha raccontato - sono andato a trovarlo e ho capito che sarebbe stata l'ultima. Ho pensato: non tornerò. Perché condividevamo un elemento della tragedia che ci colpì. Per noi Tangentopoli è stata una guerra e i sopravvissuti della guerra non vogliono parlarne». De Michelis, ha concluso Bobo Craxi, «ha passato gli ultimi anni in un'ansia ricostruttiva. Ci teneva che non restasse l'idea che i socialisti di quella stagione avessero lasciato un segno negativo».