Cosa c'è dietro la baby gang di Mestre? Famiglie dove violenza e sopraffazione sono di casa

Venerdì 26 Aprile 2019 di Maurizio Dianese
Cosa c'è dietro la baby gang di Mestre? Famiglie dove violenza e sopraffazione sono di casa
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MESTRE - Il boss ha quasi 19 anni e vive ad Altobello. È figlio di una coppia mista, papà italiano e mamma sudamericana. È lui il capo della baby-gang che terrorizza la città colpito dal provvedimento del Questore che lo obbliga a restare in casa dalle dieci di sera e fino alla mattina dopo - denominata baby, ma in realtà composta da giovanotti che stanno quasi tutti per compiere i 18 anni. Abitano in centro storico a Venezia e ad Altobello, al Circus di Chirignago, ma anche in pieno centro a Mestre, sul Terraglio e a Favaro. Sono stranieri e italiani, qualcuno adottato, qualcuno nato qui da genitori misti. C'è qualche albanese, un kosovaro, tanti dell'Est Europa, ma c'è anche chi è mestrino da generazioni. Come dire che non c'è un elemento che li unifichi se non il fatto che nessuno di loro ruba per fame perchè tutti provengono da famiglie che non hanno problemi a mettere insieme il pranzo con la cena. Magari non navigano nell'oro, ma non sono in miseria. Però si tratta di nuclei familiari problematici. E vuol dire che in casa c'è spesso il padre che picchia la madre oppure il padre che ha fatto i bagagli e se n'è andato, ma  più spesso papà e mamma che litigano in continuazione e usano i figli come merce di ricatto reciproco. I componenti della baby-gang sono insomma figli prima di tutto di una povertà culturale, fatta di sopraffazione e di uso della violenza per risolvere i conflitti, in casa e fuori, più che figli della povertà, come poteva essere trent'anni fa ad Altobello. Che, tra parentesi, è un quartiere precipitato nell'incubo peggio di trent'anni fa quando era pieno di malavita, ma nessuno aveva così tanta paura quanta ne hanno adesso gli abitanti di quello che una volta si chiamava Macallè. Adesso resta un bel quartiere costretto a fare i conti con il boss e la sua gang che studia per diventare una banda di malavitosi veri. Perchè è un caso che il capo abiti lì, ma questo purtroppo significa che i luoghi di appuntamento della banda sono sempre quelli, piazzale madonna Pellegrina e la darsena del Canal salso.
Sono una trentina in tutto questi ragazzotti che considerano Mestre e Venezia il loro territorio di caccia. Hai bisogno di un nuovo I-phone? Lo prendi al primo che passa per strada e se non vuol mollare l'osso, lo riempi di botte. Hai sete? Entri nel primo negozio di bengalesi che trovi e ti prendi quello che vuoi. Magari all'unico scopo di farti un selfie. Del resto i loro profili social sono eloquenti, a cominciare da quello dell'ormai quasi diciannovenne di Altobello, il quale si definisce il boss sui social media. Pensare che non andava nemmeno male a scuola, anche se è vero che aveva dato subito problemi. Ma lui e anche altri tutto sommato riuscivano a restare a galla e a barcamenarsi in famiglie che fanno fatica a tenere insieme i pezzi. Poi l'anno scorso è scattato qualcosa nella testa del ragazzo, che ha cominciato ad aggregare attorno a sé tanti altri come lui. Ragazzi disadattati, alle prese con una vita che non sanno da che parte prendere perchè hanno solo esempi negativi davanti ai loro occhi. E così sono iniziati i furti e le rapine, gli assalti ai bengalesi, considerati i paria della società e le bravate da Coin. E siccome è da un anno e passa che non succede loro nulla, hanno ben pensato di alzare l'asticella della sfida con le forze dell'ordine. Adesso si fermeranno? Ci sarebbe bisogno di un intervento coordinato, di repressione e di recupero, come continuano a scrivere nei loro rapporti Polizia e Vigili urbani. Recupero dei ragazzi e delle famiglie, ma è un lavoro lento e difficile, che richiede risorse e invece in città è ormai passata l'idea che la repressione sia sufficiente.
Maurizio Dianese

Ultimo aggiornamento: 11:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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