VENEZIA - Mentre sabato 6 aprile in campo San Giacometo la violenza del branco della baby gang raggiungeva il suo apice, lasciando in eredità ad un ventenne di Mestre la frattura di una parte della spina dorsale (con prognosi di 120 giorni) e un possibile futuro in sedia a rotelle, nessuno usava i telefoni cellulare come sarebbe stato lecito aspettarsi. Se in tanti avevano acceso la camera del propri smartphone, nessuno invece aveva digitato il numero del pronto intervento. In Questura infatti non sono arrivate richieste d'aiuto. È bastato far scorrere il registro della chiamate ricevute quella sera dal 113 per rendersi conto che nessuno aveva chiamato richiedendo una volante a San Giacometo. Lì dove in venti - tra i 13 e 19 anni - si stavano accanendo su sei ventenni, tra cui due ragazze, che avevano passato la sera di sabato in quel campo ai piedi di Rialto diventato il cuore della movida in centro storico a Venezia. Un comportamento che dimostra come sia alto il tasso di indifferenza sul tema. Per vedere intervenire una divisa, infatti, è stato necessario che l'allarme passasse tra le radioline delle stesse forze dell'ordine che da sole (in particolare due agenti della polizia Municipale di ronda) si erano accorte di quanto stava succedendo.
I due agenti però erano da soli e per questo, visto il numero degli aggressori, avevano dovuto aspettare rinforzi per intervenire in aiuto delle sei vittime del pestaggio, iniziato sempre nel solito modo: con la richiesta di una sigaretta.
IL SASSOE dalle carte della doppia inchiesta condotta a braccetto dalla procura dei Minori e da quella ordinaria sui ventisette nomi stilati dalle forze dell'ordine, iniziano ad emergere i primi precedenti di alcuni dei componenti del gruppo. Uno di loro infatti sarebbe parte di quel gruppetto di minorenni che cinque anni fa avevano messo un sasso sulle rotaie del tram a Mestre. Il sospettato, all'epoca minorenne ma adesso non più, sarebbe uno dei nomi finiti nel mirino della magistratura di piazzale Roma.
Le due inchieste stanno arrivando alla conclusione con il cerchio attorno alla baby gang che si sta chiudendo. Gli investigatori conoscono nomi, cognomi e abitudini del gruppo di bulli. Che organizzavano i pestaggi, decidevano quando colpire e agivano nei loro raid punitivi. Lo facevano - sospettano gli inquirenti, che aspettano il via libera dalle procure per intervenire - sotto l'effetto di droga, scegliendo posti in cui potersi garantire una via di fuga facile.
Nicola Munaro
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