Uccise una prof, Cassazione riduce pena all'omicida dall'ergastolo a 20 anni: «Vizio di mente»

Lunedì 18 Marzo 2019
Gilberta Palleschi, la prof uccisa a Sora
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Anche in caso di discutibili perizie sul vizio parziale di mente, i giudici devono propendere per quella che, pur nel «dubbio», consente al femminicida i relativi sconti di pena. Per questo la Cassazione - nonostante un agguerrito ricorso del Pg della Corte di Appello di Roma e dei familiari della vittima - hanno confermato la condanna a venti anni di reclusione, a fronte dell'ergastolo inflitto in primo grado, a carico di Antonio Palleschi, reo confesso della terribile uccisione di una insegnante di inglese avvenuta il primo novembre 2014.

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Sorpresa mentre faceva jogging nei pressi di Sora (Cassino), la donna - Gilberta Palleschi, di 57 anni, solo per caso omonima del suo assassino - venne gettata a terra e aggredita sessualmente, chiusa ancora viva nel bagagliaio dell'auto, gettata in una scarpata e finita a colpi di pietra. Poi l'omicida andò a pranzo con un'amico e il giorno dopo oltraggiò il cadavere della vittima mentre i familiari e le forze dell'ordine la cercavano. Fu trovata dopo quaranta giorni. In primo grado, il Gup di Cassino aveva respinto la richiesta di perizia psichiatrica ritenendola «senza alcuna base scientifica», e condannò Palleschi - operaio saltuario, nato a Sora nel 1971 - all'ergastolo senza isolamento per effetto del rito abbreviato.

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La Corte di Appello di Roma, invece, nel 2017 riconobbe il vizio parziale di mente e ridusse la pena a venti anni dopo aver disposto la perizia che aveva messo in relazione un incidente stradale nel quale il Palleschi aveva riportato un trauma cranico nel 1995 e i comportamenti «socialmente aggressivi» che in seguito aveva sviluppato. In base agli ultimi studi - «recenti approdi» li definisce la Cassazione - sui comportamenti borderline, circa il 7,9% dei pazienti esaminati era divenuto aggressivo dopo aver subito un trauma cranico. Dalle indagini, era emerso che l'omicida dopo l'incidente aveva patteggiato una condanna per violenza sessuale nel 2009, aveva commesso altri tre episodi di palpeggiamento in strade di campagne nel 1997 e nel 2008, era stato condannato per non aver dato l'assegno di mantenimento a moglie e figlio a partire dal 2004. In sostanza, successivamente al 1996 - scrive la Cassazione - «emergeva un discontrollo degli impulsi a carattere progressivo».

Invano nel ricorso il Cassazione, il Pg di Roma ha fatto presente che la perizia «non ha formulato valutazioni di certezza diagnostica».

Ad avviso della Cassazione, «il dubbio sulla sussistenza del vizio di mente deve essere apprezzato in relazione al canone di garanzia in dubio pro reo, sì che non è necessario che ricorra la prova certa del vizio parziale di mente, non essendo esigibile la certezza matematica, bastando per il suo riconoscimento un ragionevole livello di probabilità del vizio di mente secondo la regola di giudizio del 'più probabile che non'». Il verdetto degli ermellini - sentenza 11897 - è stato depositato oggi dopo lunga gestazione: l'udienza si è svolta quasi un anno fa, il cinque maggio 2018. Palleschi ha già chiesto la liberazione anticipata.

Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 12:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA