Pareggiani, fotografo italiano ferito in Venezuela: «Sono caduto in un braciere, ma continuavo a scattare»

Lunedì 11 Marzo 2019 di Nicolas Lozito
Pareggiani, fotografo italiano ferito in Venezuela: «Sono caduto in un braciere, ma continuavo a scattare»

Durante gli scontri sul confine tra Colombia e Venezuela dello scorso 23 febbraio, quando l'esercito leale a Maduro ha bloccato l'ingresso degli aiuti umanitari, il fotografo freelance italiano Riccardo Pareggiani, è stato ferito. Una ferita lieve, che però ha costretto Pareggiani a interrompere il suo viaggio. «La rivoluzione non è un pranzo di gala, citando Mao», scherza ora il fotografo tornato a Bruxelles, dove segue, come secondo fotografo, il Presidente del Consiglio europeo e la Commissione Europea.

Sei rimasto ferito mentre l’esercito leale a Maduro bloccava i rifornimenti sul confine con la Colombia. Dov’eri? 
«Mi trovavo nel nord-est della Colombia, al confine con il Venezuela, nella cittadina di Cucuta. Il 23 febbraio c’era la conferenza tra il presidente della Colombia, del Cile e di Juan Guaidò, l’auto proclamato presidente ora riconosciuto da 50 Paesi. Nel pomeriggio di quel giorno, sui quattro ponti che collegano Colombia e Venezuela, anzi, sotto quei ponti, la guerriglia si organizzava per rompere il cordone imposto da Maduro». 

Cosa ti è successo?
«Mi trovavo sotto il ponte Simon Bolivar con i minuti contati dato che avrei dovuto mandare delle foto a Roma prima delle 20:30 ora italiana. Una cisterna che si trovava sopra il ponte da un momento all'altro è stata buttata giù, con un gran botto è finita sul torrente dove mi trovavo e dove stavo seguendo l’opposizione riorganizzarsi lontano dalle forze di sicurezza venezuelane e dai membri dei “colectivos”, una milizia del regime di Maduro. Gli oppositori hanno iniziato a dare fuoco alla sterpaglia tutto intorno per poter creare una cortina di fumo e fuoco per coprirsi, continuando a lanciare molotov e sassi. C’era molta confusione e agitazione, fuoco ovunque. Io ho continuato a scattare e, ovviamente, sono dritto in un braciere acceso. Ho continuato a scattare per dei minuti quando mi sono accorto e mi sono accasciato. Mi trovavo in un torrente con le macchine al collo e non sono riuscito a togliermi immediatamente lo stivale che avevo, in cui si era infilato un tizzone acceso. Ho sfilato lo stivale e a quel punto avevo esaurito completamente le forze: ho chiesto aiuto. Sono venuti in quattro e mi hanno caricato trasportandomi per più di 500 metri, portandomi al centro di soccorso di una Ong colombiana, “Mision Medica”. Sono estremamente grato a tutte le persone che mi hanno aiutato».

Prognosi?
«Un’ustione di secondo grado sul tendine d’Achille, dolorosa e fastidiosa sopratutto se ci si trova in paeselli lontani dai grandi centri. Cucuta è poco preparata ad eventi di questo genere. Basti pensare che gli hotel non sono stati in grado di recepire tutta la stampa internazionale arrivata per l’evento. Ma sono stato medicato rapidamente, e la polizia colombiana ha fatto subito un report dell’accaduto che ha girato all'ambasciata italiana».


Una donna sotto uno dei ponti che separano Colombia e Venezuela durante gli scontri dello scorso 23 febbraio tra gli oppositori e l'esercito fedele a Maduro che ha bloccato gli aiuti umanitari provenienti dalla Colombia.Fotografia di Riccardo Pareggiani.   


Perché stare in un luogo così rischioso?
«Sulla pericolosità, mi permetto di dare una risposta banale: è più facile finire sotto una macchina a Roma che farsi male in queste situazioni. Ovviamente è una generalizzazione, ripeto, alquanto ridicola. Detto questo: posti così caldi come il confine Colombia-Venezuela si affrontano solo con una preparazione alle spalle, attrezzatura ed equipaggiamento adatti e una conoscenza del terreno in cui si opererà. Credo poi sia importante arrivare per tempo sulle zone calde: arrivando nei primi momenti i reporter sono preziosi per i dimostranti, di qualunque parte siano, perché aiutano a portare alla luce quanto avviene. Dunque in un certo senso si è protetti, stando stabilmente con una delle due parti. Altrimenti diventi bersaglio. Questa è stata la mia fortuna, essere li con queste persone nel momento in cui tutto è iniziato, vedere come montava la rabbia, le prime pietre lanciate».

Ma tu stavi lavorando a un progetto in Colombia, non in Venezuela, giusto?
«Stavo sviluppando ormai da mesi una storia in Colombia quando, il 10 febbraio, Guaido ha annunciato l’ultimatum per far entrare gli aiuti e la conferenza stampa congiunta. A cascata, da quel momento, il focus del mio viaggio è cambiato e da reportage documentaristico ho deciso di andare a seguire una passaggio storico e pericoloso per il Sud America. Ho deciso in pochi giorni di partire, ma credo ne sia valsa la pena, nonostante l’incertezza della situazione. Ho pensato: quanti fotografi europei potranno andare su quel confine e raccontare queste storie?».
 
Cosa sta succedendo in Venezuela, a parole tue? 
«La situazione interna è catastrofica ma non credo che questo tentativo di spinta per Guaidò. possa aiutare a stabilizzare la situazione».

Hai incontrato molte persone, cosa ti dicono di Guaido e Maduro? 
«Ho trovato soprattutto persone schierate all’opposizione.  Ma anche chavisti che descrivevano gli anni di Chavez come positivi e gli anni del suo delfino, Maduro, come terribili. Guaido è sostenuto da molte persone, ma ha rischiato di perdere tutta la sua credibilità andando via il 23 Febbraio da Cucuta, lasciando mila venezuelani letteralmente in balia degli eventi».

Nelle tue foto si vedono molti ragazzi giovani. Come mai ci sono soprattutto loro?
Facile, a mio dire. L’età media in Venezuela è di 27 anni.

Qual è la situazione più grave a cui hai assistito? 
«Oltre ai ferimenti, da chiodi sparati o da cartucce di lacrimogeno sparate direttamente sulle persone, la cosa più grave è stata il linciaggio perpetrato ai danni di un membro del Sebin, il servizio segreto venezuelano, trovato nascosto nella giungla tra i due Paesi. Un linciaggio violentissimo, terminato con la polizia colombiana che, per proteggere i disertori, o presunti tali, dell’esercito venezuelano interveniva per strapparli alla morsa della furia popolare. L’ufficiale, in fin di vita, è stato poi portato dentro un edificio. Non è più uscito. Ecco, mi hanno colpito queste diserzioni dei soldati venezuelani. Sembrava di essere tornati nella Bernauer Straße, a Berlino, nel 1961 e guardare la famosa foto di Peter Leibing che ritrae il soldato Hans Conrad Schumann saltare il filo spinato e disertare verso Berlino Ovest».

Il governo Maduro sostiene che non c'è alcuna crisi umanitaria nel paese e che i tentativi di fornire aiuti umanitari sono provocazioni.
«Non conosco personalmente la situazione interna, nel senso che non ci sono stato. Mi informo tramite le persone che conosco e si trovano a Caracas, Merida o Valencia. Vedo le loro foto e i loro servizi. I supermercati sono indiscutibilmente vuoti, la scarsità di medicine è un problema enorme così come l’iperinflazione e la svalutazione totale del Bolivar che rende la vita alle persone completamente impossibile. I soldi ora vengono usati per fare borse, non per comprare cibo. Una donna, una giornalista venezuelana, un giorno mi disse che “anche le donne sono state costrette a cambiare le loro abitudini igieniche”, non ho voluto insistere ed approfondire ma ho capito il senso dell sua osservazione e da la misura della scarsità di servizio che Caracas ed il Venezuela può offrire al suo popolo. Ma ho dei dubbi sulla manovra mediatica e politica degli aiuti umanitari americani. Se gli Stati Uniti volessero aiutare il Venezuela ed i venezuelani, farebbero forse bene ad allentare l’embargo che stritola il paese e non gli permette di esportare le innumerevoli risorse di cui il territorio è ricco». 

Fare il freelance è pericoloso. Quali sono i pro e i contro del mestiere, paragonato a lavorare in maniera più strutturata per riviste e giornali?
«Fare il freelance è pericoloso, si! Ma non di per se il freelance ma in generale il fotografo o media che copre aree complesse.

La nostra unica fortuna è che, ad oggi, si trovano ottime assicurazioni private che coprono ogni genere di necessità in caso di bisogno. Spesso sono molto più veloci e rapide di una redazione che prima ti chiede come stai, e poi si arrabbia perché ti sei fatto male. Ci si imbatte in situazione rischiose e con un alto grado di confusione. Il punto è sempre capitarci con coscienza, sapendo di essere li, pronti a qualunque genere di inconveniente più o meno grave, e se si è in due è ancora meglio. E bisogna avvisare sempre le proprie ambasciate. Ci si ripete in testa procedure di soccorso, numeri di telefono, meccanismi che, se automatizzati, ci portano fuori dal pericolo e ci fanno mantenere i nervi saldi».

Ultimo aggiornamento: 22:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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