Gli italiani per il sì/ Pioggia di no che affonda anche il Sud

Giovedì 7 Marzo 2019 di Paolo Balduzzi
Verrebbe da dire che alla fine tutti i nodi vengono al pettine. Quando, poco meno di un anno fa, si stava delineando la possibilità che si formasse una maggioranza parlamentare e di governo formata da Lega e Movimento Cinque Stelle, tanti osservavano con scetticismo le trattative, alla luce dei molteplici e noti punti di disaccordo tra i due partiti. Tutto risolto, sembrava, con la firma del contratto di governo.

E fintanto che si è trattato di incrementare voci di spesa corrente - senza tagliarne altre, ma solo creando deficit di bilancio - l’accordo sembrava reggere. Al limite, quando la coperta appariva oggettivamente troppo corta, si poteva sempre dare la colpa a un nemico comune (i governi precedenti, l’Europa, gli speculatori internazionali). Ma ogni volta che la discussione è arrivata a temi fondamentali per lo sviluppo del Paese, ecco emergere tutte quelle tensioni rimaste nascoste per tanto tempo. Il caso più recente è ovviamente quello della Tav, ma lo stesso potremmo dire, per esempio, anche dei progetti di federalismo differenziato, la cosiddetta autonomia. 

Sono argomenti su cui le due compagini di governo sono molto divise e su cui, per motivi diversi, è proprio difficile pensare a dei passi indietro. Sono anche due argomenti i cui destini potrebbero forse risultare incrociati: sì, perché nella migliore delle tradizioni parlamentari (ci sia concessa un po’ di ironia), il sospetto che ci possa essere uno scambio appare verosimile. Dire no alla Tav per Salvini potrebbe essere deleterio dal punto di vista elettorale, soprattutto al Nord: un malcontento che però potrebbe essere compensato con qualche concessione in termini di Autonomia, quella riforma Spacca-Italia che tante resistenze incontra anche da parte dei Cinquestelle. Al contrario, Di Maio potrebbe dire sì alla Tav a patto che le risorse del Sud non vengano poi dirottate verso le regioni più ricche del Nord, cercando così di salvare le ragioni della sopravvivenza grillina nel vacillante “granaio” del Mezzogiorno. 

È difficile fare previsioni su quello che succederà: ma guardando al Paese, invece che al Palazzo, la sensazione è che la necessità di investimenti e di infrastrutture per lo sviluppo sia molto sentito su tutta la penisola. Al Nord come al Sud, tra i privati cittadini così come tra le tante aziende sempre più deluse e arrabbiate. L’atteggiamento del Movimento Cinque Stelle sulla Tav, infatti, è emblematico di una chiusura ben più ampia: non solo quindi rispetto alla sola Torino-Lione, bensì con riferimento alle tante opere che servirebbero al Paese stesso. Ne è la riprova il fatto che grandi alternative a questo progetto non ne sono state avanzate: che fine hanno fatto le promesse di investimenti nell’Alta Velocità al Sud? O quelle di grandi interventi per il trasporto regionale? Nulla di tutto questo nella legge di bilancio, nulla che faccia pensare che il Movimento abbia davvero capito le reali esigenze degli italiani in termini di crescita.

In fin dei conti, leggendo il contratto di governo, sulla Tav c’erano poche parole ma compatibili con qualche tipologia di intervento: un impegno a «(…)ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». Una frase che certo non sposa il progetto originario ma nemmeno indica chiusura pregiudiziale. E invece a sentire il premier Conte e le sue elucubrazioni causidiche, Palazzo Chigi nutre forti perplessità sull’opera, a tal punto che potrebbero risultare fatali. Si capisce che la base del movimento su questo argomento sia molto sensibile: il “No Tav” è stata una battaglia della prima ora del popolo a Cinque Stelle. Ma un anno dopo la vittoria delle elezioni e sei anni dopo l’ingresso in Parlamento, la classe politica del Movimento avrà ormai capito che l’arte della politica è e deve essere quella del compromesso, inteso nella sua più nobile forma, e non la chiusura a priori. E che cambiare un’idea, motivando la scelta, permette di fare passi in avanti nell’interesse di tutti. 

Il Paese vuole andare più veloce: è proprio il caso di dirlo; ma rischia di rimanere bloccato per una questione di principio che i leader cinquestelle non hanno il carisma e l’autorevolezza di sbloccare. Appare quantomeno paradossale che per l’autorizzazione a procedere contro Salvini il Movimento abbia chiesto indicazioni ai suoi elettori mentre per indicazioni su un’opera strategica non solo per il Paese ma per tutta Europa non si voglia interpellare la popolazione.

In un Paese normale e moderno, con una leadership all’altezza, non ce ne dovrebbe essere bisogno ma in certi casi il referendum è una soluzione: certo, rappresenta una sconfitta della classe politica, perché sancisce la sua incapacità di decidere, cioè di svolgere il proprio lavoro. D’altro canto, sui grandi temi il popolo italiano si è sempre espresso in maniera matura e informata. I sondaggi lo dicono già chiaro e forte: la maggioranza degli italiani è favorevole alla Tav. Ma questo va chiesto a tutti gli italiani, non certo solo ai piemontesi, perché costi e benefici - insomma l’obolo da pagare - se l’opera andasse in porto sarebbero ripartiti tra tutti. 
E aggiungiamoci anche la richiesta di estendere presto e massicciamente l’Alta velocità nel nostro Mezzogiorno. Chiediamolo, se la politica non riesce a decidere, anche per dimostrare che la base e il cuore di questo Paese hanno una visione ben più lungimirante dei propri rappresentanti.
 
Ultimo aggiornamento: 8 Marzo, 13:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA