Autonomia. Il Veneto chiede di assumere i prof con concorsi regionali e di scegliere i contenuti didattici

Martedì 12 Febbraio 2019 di Alda Vanzan
Autonomia. Il Veneto chiede di assumere i prof con concorsi regionali e di scegliere i contenuti didattici
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Tra le 23 materie richieste da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna c'è l'istruzione. Che, peraltro, con giustizia di pace ed ambiente, è una delle tre materie di competenza esclusiva statale. Le richieste presentate dalle Regioni sono però differenti. Veneto e Lombardia, ad esempio, hanno chiesto di regionalizzare il personale scolastico, secondo il modello trentino. Il che significa poter fare concorsi pubblici regionali. E il Veneto ha pure chiesto autonomia sui contenuti didattici.

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L'Emilia Romagna, invece, vuole che i docenti rimangano dipendenti statali, ma esige la programmazione. In tutto questo, mentre a Roma si stanno confrontando esclusivamente i tecnici, tanto che qualcuno si è stupito dell'assenza del ministro competente Marco Bussetti, i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno promesso battaglia: «È un progetto che mina l'unità culturale della nazione». Ma da quel che si apprende a Roma, l'attuale personale scolastico non sarà regionalizzato. Quello futuro sì.
 
LA SCUOLAIn pratica, almeno per quanto riguarda Veneto e Lombardia, dovrebbe esserci un doppio binario: da una parte gli insegnanti già assunti e dall'altra quelli di nuova assunzione. I primi resteranno statali, i secondi saranno regionali. Ma per assumere su base veneta gli insegnanti bisognerà aspettare che si verifichino vuoti in organico, che ci siano cioè ad esempio dei pensionamenti e che i posti liberi debbano essere riempiti. Solo in questo caso sarebbero possibili concorsi regionalizzati, dando vita a un doppio regime che si esaurirebbe nel tempo. I concorsi su base regionale riguarderebbero anche i dirigenti scolastici. È chiaro che i requisiti e i criteri decisi dal Veneto - ad esempio la permanenza nel territorio regionale per almeno cinque anni - potrebbe escludere la partecipazione di residenti nel resto d'Italia, in località lontane. L'altro punto contestato riguarda il dubbio se un prof veneto assunto con concorso veneto possa andare poi a insegnare in un'altra Regione.
Sicuro, invece, il passaggio dallo Stato alla Regione degli uffici territoriali: l'Ufficio scolastico regionale, quello che una volta si chiamava Provveditorato agli studi, diventerà veneto. Una funzione importantissima se si considera che è l'Ufficio che decide e assegna gli organici delle scuole. Altro trasferimento già concordato sarà l'edilizia scolastica.
Val la pena ricordare che sul fronte dell'istruzione, proprio perché le richieste sono state diverse, a Roma durante questi mesi di trattative ci sono stati tavoli separati tra le Regioni. L'Emilia Romagna, a differenza del Veneto, ha chiesto infatti che i docenti rimangano allo Stato, reclamando però la programmazione anche di lungo termine.
A ritenere l'autonomia «pericolosa» sono stati Cgil, Cisl e Uil che hanno inviato una lettera al premier Giuseppe Conte e ai presidenti delle commissioni Istruzione di Camera e Senato chiedendo uno stop. «Quello che si ipotizza - hanno scritto - non è un semplice decentramento amministrativo, volto alla ricerca di maggiori convenienze fiscali: siamo in presenza di un progetto di vera e propria devoluzione, che investirebbe in pieno il sistema scolastico del Paese. Ciò equivarrebbe a minare l'unità culturale della nazione, per dare vita a progetti formativi regionali e localistici ben al di là di quella giusta attenzione alle specificità territoriali che, già a sistema vigente, sono assicurati dall'autonomia scolastica prevista dalla stessa Costituzione».
IL LAVOROUna delle 20 materie di legislazione concorrente richieste da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna è il lavoro. Ma la trattativa al tavolo romano - che, rispetto a quello dell'istruzione, ha visto un confronto con tutte e tre le Regioni e la partecipazione del ministro Luigi Di Maio - ha registrato il no: la Tutela e sicurezza del lavoro resteranno in capo allo Stato. Le Regioni potranno avere la previdenza complementare, il che potrà comportare una revisione dei contratti collettivi nazionali, ulteriori risorse accantonate di cui i lavoratori beneficeranno quando andranno in pensione, ma anche la possibilità per la Regione di utilizzare il nuovo fondo della previdenza complementare per gli investimenti.
Si riferisce, invece, di tensioni a propositi dei Centri per l'impiego. Regionalizzati, ma con l'esclusione dei navigator: ad assumere i tutor per il reddito di cittadinanza non saranno mai le Regioni.
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