Manuel Bortuzzo ricorda tutto: «Mamma, devi essere forte. Ora l’allenamento più duro»

Giovedì 7 Febbraio 2019 di Camilla Mozzetti
Manuel Bortuzzo ricorda tutto: «Mamma, devi essere forte. Ora l allenamento più duro»

Non ha pianto Manuel quando si è svegliato, si è guardato intorno e ha capito di essere steso su un letto d’ospedale. Nessuna lacrima ha macchiato i suoi occhi castani neanche quando ha compreso di non poter muovere le gambe: «Non sento nulla», ha detto ai familiari. La sua mente è lucida, vividi i ricordi di quel sabato sera quando, di fronte a un distributore di sigarette in via Menandro (quartiere Axa a sud di Roma), un colpo di pistola calibro 38 l’ha raggiunto alla schiena. 

Suo padre Franco, con indosso il camice verde e la mascherina obbligatoria per entrare nel reparto di Terapia intensiva, gli stringe la mano: «Da qua in giù non sento più niente», gli dice Manuel. Lui stringe ancora più forte il suo palmo: «Hai preso un proiettile nella spina dorsale». Manuel ascolta ma non si agita. «Ricorda tutto», spiega mamma Rossella di fronte all’ospedale San Camillo: il dolore al petto, il senso di svenimento, il sangue che gli macchia le mani quando istintivamente si tocca la schiena. Ricorda che con lui quella sera c’era Martina, la sua fidanzata, che cadeva una pioggia battente mentre si accasciava a terra e invocava aiuto. Gli psicologici insieme ai familiari gli hanno spiegato quali sono le sue attuali condizioni provando a sfumare i contorni di una diagnosi terribile come quella sentenziata dai chirurghi: una lesione midollare che rende impossibile, con le attuali conoscenze, ipotizzare il riacquisto del movimento delle gambe. Ma non è stato poi neanche necessario alterare la verità perché «mio figlio – spiega il padre – ha capito e ha compreso, è forte e credo lo sia molto più di noi». 

Diciannove anni appena e un sorriso rivolto alla mamma per dirle poi: «Mi riprenderò, fatti coraggio». Lui ha già iniziato, cambiando i traguardi da raggiungere senza intaccare il proprio spirito da guerriero. Prima c’erano le Olimpiadi, adesso il ritorno alla normalità: l’allenamento più duro. E in questo percorso non c’è spazio – perché Manuel non lo permette – per la rassegnazione e per lo sconforto. «È felice di essere vivo», aggiunge Alessandro Bori, l’amico che per primo lo ha soccorso quel sabato notte in mezzo alla strada. «Ha capito che poteva morire – continua Alessandro – me lo ha detto e mi ha detto anche che adesso è pronto a ricominciare, lasciandosi il passato alle spalle». Con lui ci sono anche tutti gli altri compagni di nuoto del Centro federale di Ostia. C’è Martina che gli regala grandi sorrisi e gli dice che gli vuole bene, di continuare a lottare. Lui risponde di sì, poi manda un messaggio vocale agli altri amici di Treviso: «Ragazzi sto bene, non vi preoccupate». 

Alla notizia dei due uomini che si sono costituti in Questura, confessando di aver sparato contro Manuel per sbaglio, il papà Franco si dice felice: «Mio figlio sta bene e sta combattendo è una buona giornata e lo sarà ancora di più se convalideranno i fermi». 

I FERMATI
Sulle convergenze e i contatti che i due aggressori hanno con gli ambienti della malavita romana, sempre il padre del ragazzo commenta: «A Treviso non sarebbe mai accaduto ma qui a Roma avete gli Spada e tante altre famiglie criminali, la zona è quella, nessuno ridarà le gambe mio figlio ma l’importante è che li abbiano presi». La notizia dell’arresto Manuel ancora non la conosce: «Non gli importa, andiamo oltre», continua il papà. E in quell’“oltre” c’è tutto il percorso riabilitativo che il diciannovenne è pronto a intraprendere. I medici tra oggi e domani dovrebbero sciogliere la prognosi e trasferire Manuel in reparto.

Già ieri il ragazzo mangiava e beveva e dunque le sue condizioni cliniche lasciano ben sperare. 
Nel corso della prossima settimana – dieci giorni al massimo – potrà essere dimesso. «In questi giorni – conclude il papà – mi sono reso conto che Manuel non è solo mio figlio, ma è figlio d’Italia per la grande solidarietà e l’affetto che abbiamo ricevuto».

La famiglia sta cercando una struttura dove trasferire il giovane nel percorso di riabilitazione che dovrà sostenere nei prossimi mesi e in questo è fortemente sostenuta dalla Federazione nazionale di nuoto. «A Manuel ho detto – spiega il presidente della Federnuoto, Paolo Barelli – che non ha più solo una famiglia, è diventato il figlio, il fratello, il nipote di tutti coloro che non accettano di vivere in un ambiente ostaggio della violenza, ci stiamo adoperando a 360 gradi per trovare un centro che riesca ad aiutarlo. Non importa dove sarà, siamo pronti ad andare anche in capo al mondo e nessuno sta perdendo la speranza di potergli donare un’altra occasione». 

Ultimo aggiornamento: 12:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA