Spese personali pagate con i soldi del Consorzio: 10 anni di condanne

Venerdì 1 Febbraio 2019 di Cristina Antonutti
La Guardia di Finanza durante il sequestro nella sede del Consorzio Cellina Meduna
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PORDENONE - La prima tranche dell’inchiesta sul Consorzio di bonifica Cellina Meduna, quello guidato dall’ex presidente Americo Pippo, si chiusa con condanne per oltre 10 anni, la confisca di beni e disponibilità bancarie per 139mila euro e risarcimenti per altri 108mila. La sentenza è stata emessa ieri dal gup Eugenio Pergola e riguarda soltanto il filone delle “spese pazze”, che il codice penale configura nel reato di peculato. Quattro gli imputati. Hanno affrontato il processo in udienza preliminare scegliendo il rito abbreviato che garantiva di abbattere la pena di un terzo. Pippo, 68 anni, di Valvasone Arzene, è stato condannato a 4 anni 1 mese e 10 giorni di reclusione; la segretaria Daniela Falcone (58), di Roveredo in Piano, a 2 anni e 4 mesi; gli ex direttori Marcello Billè (74) di Trieste  a 2 anni e 4 mesi e Giorgio Maruzzi (59) di Padova a 2 anni 1 mese e 10 giorni (limitatamente a pedaggi stradali e uso di auto). Sono stati tutti interdetti dai pubblici uffici per 5 anni.
LA CONFISCA
Il gup ha ordinato la confisca per equivalente di beni (compreso denaro e conti correnti) fino a 64.389 euro in solido per Pippo e la Falcone; in solido per Pippo e Billè fino a 44.260; per il solo Pippo fino a 15.178; in solido per Pippo e Maruzzi per 15.560. Il Consorzio si era costituito parte civile con l’avvocato Marco Del Zotto. Il gup - in relazione ai vari capi di imputazione - ha disposto che Pippo e la Falcone risarciscano 49.389 euro per danni patrimoniali residui e 12.877 per danni non patrimoniali; a Pippo e Billè, sempre in solido, sono stati stabiliti 15.260 (patrimoniali) e 8.852 (non patrimoniali); a Pippo ulteriori 3.035 (benzina e riparazioni di un’auto dell’ente usata per scopi personali); a Pippo e Maruzzi 15.560 (patrimoniali) e 3.112 (non patrimoniali). Ulteriori 8.359 euro sono stati riconosciuti per le spese di costituzione di parte civile.
L’ACCUSA
La requisitoria del pm Maria Grazia Zaina era stata molto dura nei confronti di Pippo. Era rimasto al vertice dell’ente dal 1986 al 2014 e, secondo l’accusa, aveva accentrato su di sè i poteri della deputazione riuscendo a imporre la propria volontà sul personale. Nelle sue conclusioni aveva ritenuto meritevoli delle attenuanti generiche soltanto i due ex direttori difesi dagli avvocati Antonio Malattia ed Ernesto De Toni: aveva chiesto 2 anni e 8 mesi di reclusione. Per Pippo, difeso dall’avvocato Marco Zucchiatti) aveva concluso per 4 anni e mezzo; per la Falcone (Maurizio Conti) 3 anni e 6 mesi.
LE SPESE
Nelle note spese erano finiti scontrini per consumazioni al bar, acquisti in gioielleria e perfino in erboristeria, viaggi, pedaggi autostrali e spese personali. Spesso si trattava di spese proposte due volte, scontrini modificati con un grossolano “copia e incolla” fatto con la fotocopiatrice. Spesso sono cifre ridicole, che equivalgono a un paio di caffè al bar, ma che finivano comunque in Economato per essere rimborsate. A vistarle era sempre Pippo, al quale era contestato il concorso nel reato con tutti gli altri indagati. La Procura ritiene che fosse pienamente consapevole quando firmava le delibere. Gli scontrini contestati riempiono qualcosa come tre faldoni. Pippo, segretaria personale ed ex direttore generale Billè erano coinvolti per i periodi 2008/09 e 2014/15; Maruzzi limitatamente al 2010/12. Il capo di imputazione era composto da 37 pagine fitte di contestazioni, scontrini e ricevute fiscali. Si è ritenuto che attraverso il Consorzio Cellina Meduna siano stati rimborsati viaggi o cene personali che nulla avevano a che fare con le attività dell’ente pubblico, nemmeno quelle di rappresentanza. Il periodo preso in considerazione dai finanzieri va dal 2008 al 2014. Sarebbero emersi rimborsi non dovuti o pagati due volte per una somma complessiva di oltre 70 mila euro, tutti vistati da Pippo. Si tratterebbe soprattutto di pranzi e cene in ristoranti, di viaggi personali messi in conto all’ente pubblico, di pedaggi autostradali imputati al Consorzio, quando in realtà riguardavano spostamenti privati da parte degli indagati. Le difese sono convinte che vi siano margini giuridici per appellare e ridimensionare la sentenza.
Cristina Antonutti
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Ultimo aggiornamento: 08:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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