Ultramaratoneta dei ghiacci, Venturini racconta la sua impresa: «E' stata durissima»

Giovedì 24 Gennaio 2019 di Giancarlo Noviello
Ultramaratoneta dei ghiacci, Venturini racconta la sua impresa: «E' stata durissima»
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È tempo di bilanci per l'ultramaratoneta padovano Paolo Venturini, sovrintendente della Polizia e tecnico delle Fiamme Oro, dopo la grande impresa di domenica: correre 39 km e 120 metri con  temperatura di -52,6 gradi, unendo i villaggi di Tomtor e Oymyakon, i luoghi più freddi della terra. Sono moltissime le sfide che il poliziotto padovano ha realizzato nella sua lunghissima carriera, di corsa o in mountain bike, percorrendo migliaia di chilometri e attraversando tutti i continenti. Fino appunto alla sua ultima impresa, denominata Monster Frozen che l'ha portato per la prima volta a correre all'interno del Circolo Polare Artico.
Paolo Venturini, come è stata la sfida contro il freddo?
«Durissima. Ho avuto molti problemi dal trentesimo chilometro in poi perché si era formato tantissimo ghiaccio nei vari strati dell'abbigliamento. La corsa in questo luogo estremo è pesante, sia per il freddo, sia per la quantità di abbigliamento e la strumentazione che indossavo. Questa è una delle differenze tra la mia sfida e quella dell'atleta moldavo, ovvero tre troupe televisive che mi seguivano e tutta l'attenzione mediatica su di me, una certificazione delle temperature ambientali e di quelle che io percepivo. Grazie anche all'azienda padovana Delta Ohm di Padova sono riuscito ad avere il top mondiale per la certificazione delle temperature».

Ha avvertito problemi all'apparato respiratorio?
«Un po' di irritazione e infiammazione ai bronchi per un principio di congelamento al livello degli alveoli polmonari, però è tutto sotto controllo. Andrea Gasperetti, lo specialista della Medicina dello Sport dell'Università di Padova che si trova qui con me, mi tiene costantemente monitorato, ma ripeto la situazione è sotto controllo anche rispetto alle aspettative iniziali».
Con il fisico come si sente? «Ho parecchio mal di gambe perchè si trattava di una corsa a falcata ridotta, faticosa. Ogni volta che muovevo le gambe con tre strati di pantaloni termici era difficile aprire la falcata. I piedi si dovevano adattare continuamente al terreno ghiacciato, caratterizzato da numerose asperità, e questo aspetto che certamente non era da sottovalutare mi provocava fortissimi dolori muscolari dovuti anche alla cattiva postura. In aggiunta, la maschera che indossavo, mi creava problemi di equilibrio, per cui anche la velocità della mia corsa è stata particolarmente condizionata da un campo visivo davvero ridotto».
ADRENALINA ALTA
Il suo team come ha reagito al freddo polare?
«Dopo il test i ragazzi erano tutti abbastanza provati, condizionati anche dal viaggio di andata davvero mostruoso, bloccati tutta la notte con 56 gradi sotto lo zero, rischiando davvero di non ritornare più in Italia. Però sono rimasti entusiasti dell'esperienza; avere tutta questa mediaticità sulla pelle, le autorità che ci seguivano, e forse anche questa sfida un po' alla lontana con questo atleta moldavo che onestamente non ho mai visto e conosciuto, ha alzato parecchio l'asticella dell'adrenalina. La prova è stata sicuramente di un certo livello, anche quella del tempo. Io onestamente non ho corso per il tempo, però coprire 39 chilometri e 120 metri in 3 ore e 54 minuti vuol dire andare a 5,59 al chilometro di media in condizioni normali. Qui diventa qualcosa di molto più importante».
Qual è il momento sportivo più intenso che ha vissuto? «Ogni gara e ogni sfida hanno la loro storia. È vero, il mio è uno sport individualistico. Però il team fa la differenza: prima aiutandoti nella preparazione, poi nella logistica e nel recupero. Ogni fase è un momento intenso, già da quando inizia a programmare la sfida da casa. In tutto questo bisogna sempre trovare gli stimoli, la voglia e il desiderio di alzare il livello della competizione con me stesso e poi con il resto, uomo o natura che sia».
 
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 12:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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