No ai cedimenti/ Quel ricatto al fronte del rigore

Lunedì 21 Gennaio 2019 di ​Carlo Nordio
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L’ultima strage di migranti, consumatasi al largo della Libia, ha scatenato, com’era prevedibile, una serie di accuse: alla guardia costiera libica che non è intervenuta; al governo italiano che avrebbe stipulato con Haftar un accordo oneroso quanto fittizio; e naturalmente al nostro ministro degli Interni che, secondo l’ineffabile sindaco Orlando dovrebbe addirittura finire imputato in una nuova Norimberga. Dall’altra parte si è replicato che la colpa è dell’Europa, come al solito assente, e ovviamente dei trafficanti, che lucrano sull’emigrazione. Al netto del dolore che suscitano simili disgrazie, e del raccapriccio per il cinismo di chi ne fa strumento di lotta politica, emergono tuttavia alcuni elementi nuovi, che a loro volta suscitano un dubbio allarmante.

Le novità. Primo. Il massiccio esodo di oltre cento sventurati a bordo di uno sgangherato gommone, destinato a rovesciarsi entro poche miglia dalla partenza, è avvenuto, per così dire, fuori stagione. In un periodo in cui - per evidenti motivi atmosferici - questi viaggi rallentavano fino a interrompersi, ora assistiamo a una massiccia ripresa. Una ripresa tanto imprevista quanto criminale: tenuto conto di tutto, quei poveretti erano quasi certamente condannati ad affogare. Il fatto che a bordo ci fossero alcune donne e due bambini, consueto strumento di ricatto morale dei trafficanti, rende questa strage annunciata ancora più odiosa. 

Secondo. Una volta tanto, il nostro Paese non può, nemmeno astrattamente, essere accusato di nulla. Il naufragio è avvenuto in acque libiche, o comunque internazionali; la richiesta di soccorso è stata raccolta dalla locale autorità costiera, e i porti sicuri più vicini erano Malta e la Tunisia. La nostra Marina ha fatto il possibile, e ha salvato in extremis tre naufraghi. Ciononostante, ancora una volta, il bersaglio finale è il governo italiano.

Terzo. Questa tragedia arriva dopo che tra mille polemiche, traccheggi e riserve mentali, l’Europa aveva mostrato una timidissima benché tardiva attenzione ai nostri problemi. Le recenti distribuzioni - peraltro platoniche - dei 47 migranti avevano rappresentato un inizio di condivisione nell’approccio al problema del ricollocamento. Le ambiguità da risolvere erano, e sono, ancora molte. In ogni caso qualcosa si era mosso.

Quarto. Questo viaggio, fuori tempo e fuori programma, arriva quando, per la prima volta dalla costituzione del nostro governo e dalla stipula del relativo contratto, si è percepito un tentennamento, se non addirittura un dissidio tra i contraenti. La mediazione di Conte ha provvisoriamente chiuso la vicenda. Ma tutti hanno capito che tra il premier e i due vice si è sfiorata la lite. Questo ha certamente indebolito l’immagine dell’Italia davanti all’Europa, che ha ignorato il recente sbarco a Crotone di 57 migranti, e non sembra volerli inserire tra le quote da distribuire. 

Se la sua collaborazione intende limitarsi ai naufraghi salvati dalle onde, e non a quelli approdati incolumi nelle nostre coste, assistiamo all’ennesima intollerabile ipocrisia. Ma il peggio non è l’indebolimento davanti all’Europa: è l’indebolimento davanti alle cosche criminali. 

E questo fa sorgere il dubbio e l’allarme. Il fatto che la politica di rigore adottata finora abbia conseguito risultati tangibili sia nel flusso degli arrivi sia nell’atteggiamento dell’Europa, e che al primo segnale di esitazione questo flusso sia ripreso e aumentato, può rappresentare il sintomo di una radicalizzazione della strategia delle organizzazioni criminali: la progettazione di un esodo massiccio e incontrollato di sventurati, mandati volutamente a morire per sollecitare l’Italia, attraverso l’orrore e la compassione, a cambiare politica, quella che, negli ultimi mesi, aveva reso improduttivo il commercio delle mafie e forse dei terroristi. Noi ci auguriamo di essere smentiti: per non assistere ad altre sventure, compresa quella, non di poco conto, di un eventuale cedimento a questo odioso ricatto.
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