Gli effetti per l’Italia/Con Macron più debole nuovi equilibri in Europa

Mercoledì 5 Dicembre 2018 di Marco Gervasoni
Non sappiamo in che cosa sboccherà la crisi francese: mentre ai segnali di pace del governo i “gilet jaunes” hanno fatto spallucce, nella grande distribuzione le merci cominciano a scarseggiare e la benzina nei distributori a mancare, e da ieri gridano «Macron démission» pure gli studenti dei licei e delle università, alcune occupate. Il finale potrebbe anche essere clamoroso, e inedito nella storia francese. 

Eletto per rovesciare le carte, anche il giovane e ambizioso Emmanuel è caduto vittima della maledizione francese, quella che ha impedito a tutti i presidenti, da Mitterrand in poi, di governare e riformare il Paese. Tutto ciò è avvenuto per almeno tre ragioni.


Una è il carattere verticistico del sistema fondato da De Gaulle nel 1958, che trasforma il presidente in «un uomo solo», circondato da una tecno-burocrazia, reclutata nell’Ecole nationale d’Administration (la famosa Ena), poco predisposta a dialogare con la società e con i corpi intermedi, che poi in Francia sono sempre stati deboli, e oggi non esistono quasi più. 

Tutto questo era comunque gestibile finché la Francia non ha dovuto anch’essa, come l’Italia, allinearsi ai parametri della convergenza europea, alla fine degli anni Ottanta: che, imponendo il feroce controllo del debito pubblico, ha fatto saltare il sistema. La seconda ragione attiene a Macron stesso: la sua candidatura, un po’ troppo costruita a tavolino, non è mai riuscita ad entrare in contatto «carnale» con il paese, anche perché egli è stato scelto in buona sostanza per difetto, cioè per non far vincere Marine Le Pen. 

La base elettorale del presidente, sociologicamente ristretta, è infatti costituita dall’oligarchia delle classi affluenti urbane e globalizzate: la gauche kérosène, come la chiama il filosofo Jean-Claude Michéa. Peggio ancora la sua “République en marche”, più una start-up che un partito, mai radicatosi nel Paese; basti dire che molti deputati, pur eletti direttamente nel loro collegio, per farvisi riconoscere devono sfilare con la fascia tricolore. Nè di destra né di sinistra, Macron ha finito così per essere bersaglio al tempo stesso dell’una e dell’altra. Convinto di poter governare solo con tecnocrati, egli manca infine di personale con adeguata esperienza; come si è visto con la nomina, a nostro avviso disastrosa, del ministro dell’Interno Castener, pure uno dei pochi macroniani con curriculum politico.
 
La terza causa all’origine della poco strana disfatta di Macron sta ancora una volta nell’Europa: egli aveva giocato tutto le sue carte sull’appoggio di Merkel per la riforma della eurozona in particolare. Venuto meno il sostegno tedesco - perché alla Germania tutto sommato l’Europa sta bene come è, visto che così vi spadroneggia - è caduto anche il castello di carte macroniano. L’indebolimento di Macron non fa crollare l’asse franco-tedesco: non può infatti distruggersi ciò che non esisteva più da tempo. Molto peggio (o molto meglio, dipende dal punto di vista): apre uno scenario di nebbiosa ingovernabilità in Europa, nel cui vuoto politico prenderà ancora più potere la tecnostruttura burocratica, impermeabile a qualsiasi controllo di tipo democratico. Eppure, per citare il grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin «dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva».

E il verso è dedicato a noi, Italia, e al nostro governo. Se verranno infatti confermate le voci di ieri, su una nuova manovra di bilancio francese, pronta a sforare il 3% per consentire a Macron di tenere un Paese allo sbando, si riapriranno i giochi anche per il nostro rapporto con la Commissione Ue e con il suo inflessibile pallottoliere. Certo, Juncker e soci potrebbero ribattere che un conto sono i francesi e un altro gli italiani (lo hanno già fatto in passato) ma ora la diversità di trattamento sarebbe così palese da non poter esser sostenibile. 

In tal modo, quello che fino a pochi giorni fa era l’avversario più temibile e convinto del governo giallo-verde, Macron, finirebbe per diventare un suo, sia pure assai indiretto, alleato. Al di là del caso italiano, però, il declino macroniano dovrebbe obbligare tutti a chiedersi quanto possa vivere una architettura, come quella dell’euro, che, senza riforme radicali, finirà probabilmente per implodere su se stessa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA