Il Leone d'oro a Bertolucci alla Mostra del Cinema del 2007

Lunedì 26 Novembre 2018 di Chiara Pavan
Bernardo Bertolucci
LIDO DI VENEZIA - SETTEMBRE 2007 - Il Leone d’ oro del 75° avanza a fatica reggendosi al deambulatore che lo aiuta a camminare dopo la malattia che l’ha colpito due anni fa. Se il premio lo rende particolarmente «felice» o «onorato», come si ripete in queste occasioni, Bernardo Bertolucci non lo dà a vedere. Ma la sala stampa gli regala una standing ovation, mentre il direttore Marco Müller sgombra il campo da possibili malintesi. Questo Leone non suona come «un prepensionamento», come aveva ribadito il regista all’Espresso tempo fa: «Certo, gli avevo proposto il Leone alla Carriera - spiega Müller -, ma Bernardo sta per cominciare un nuovo film, "La condizione umana", e continuerà ancora a fare film». Questo Leone del 75°, casomai, non fa altro che «tracciare una mappa del nuovo che la Mostra ha trascritto: ci siamo resi conto che se vuoi parlare di cinema, tutto si interseca in un punto che per noi corrisponde al cinema di Bertolucci. E noi non possiamo che definirci "bertolucciani"». E quella che regala Bertolucci è una curiosa lezione di cinema, ricordi, impegno e futuro, che si mescola ad un divertente aneddoto "veneziano". Perché c’è un legame tra il Bertolucci che riceve il Leone del 75° e il Bertolucci che guidò la giuria della Mostra nel 1983, altro anno importante per il Festival, quello del 50°. «All’epoca non volevo venire a Venezia, nè fare il presidente di giuria anche se il direttore Rondi ci teneva molto. Fu Godard a farmi cambiare idea. Era in concorso con "Prénom Carmen" e mi chiese di far parte della giuria: non potevo rifiutare. Così chiesi a Rondi di comporre una giuria di soli registi e scelsi tutti colleghi che dovevano qualcosa a Godard, e che non avrebbero non potuto dargli un premio importante. L’ultimo giorno andammo a mangiare a Torcello, e da lì la giuria uscì deliberando 6 o 7 premi a Godard. Tornando all’Excelsior, mi "svegliai" dal trance, pensai "ci rideranno tutti dietro" e cercai di rimediare. I premi furono 3 o 4...».

GODARD E PASOLINI - Sono «i miei padri putativi». «Nella mia fantasia li mettevo a confronto, in competizione. Con Pasolini ebbi il mio primo contatto col cinema. Lo incontrai sul portone di casa, mi disse "sarai il mio aiuto regista" per "Accattone", io gli risposi "non ho mai fatto l’aiuto regista" e lui mi gelò, "neanch’io ho mai fatto un film". E siamo partiti per questa avventura con grande curiosità. Guardavo Pasolini che prendeva in mano i materiali e li faceva diventare cinema. Un ricordo ancora vibrante. Con Godard fu innamoramento. A mio avviso lui aveva cambiato il cinema. Ho sempre diviso il cinema in prima e dopo Godard. L’ho amato, imitato, scopiazzato, rifiutato, odiato. Ancor oggi quando faccio un’inquadratura, mi domando se emerga una traccia del suo cinema ormai sedimentata in me».

AMBASCIATORE DEL MONDO - «Non mi sento ambasciatore del mondo, preferirei casomai esserlo in Italia, Paese che stenta ad aprirsi a esperienze internazionali. Poi magari come ambasciatore creerei incidenti diplomatici».

LA VIA DEL PETROLIO - Emozionante, per Bertolucci, rivedere in Sala Grande il suo primo e unico documentario, in versione restaurata, "La via del petrolio". «Un po’ lo temevo - ribatte Bertolucci - Marco Müller mi diceva che era uno dei miei film più belli ed io ne ero anche risentito. Pensavo: ma Müller mi fa un omaggio o un tranello? In realtà, più che ritrovato, è stato riesumato. Anch’io non lo vedevo dal ’66, chi se lo ricordava? Approdare in Sala Grande l’altro giorno è stato come vederlo per la prima volta. E nello stesso tempo mi confrontavo con l’immagine di me a 23 anni, ho sentito la mia energia di allora, ho avvertito i semi di una tentazione verso l’epicità, che anni dopo ho esplorato in "Novecento" e "L’ultimo imperatore". Ho capito che avevo dedicato questo documentario a Mattei, che mio padre mi aveva presentato anni prima, pensando a cosa gli sarebbe piaciuto vedere. E sono stato felice di rivederlo».

CINEMA ITALIANO & VENEZIA - I tre film italiani in concorso alla 64.
Mostra non sono piaciuti molto, ma Bertolucci non vuole entrare nel merito, preferisce allargare lo sguardo. «C’è una costante a Venezia, e l’ho vissuta sulla mia pelle. Venezia non è facile per il cinema italiano, più volte sono partito da qui con l’amaro in bocca. Ogni 3 o 4 anni si parla di crisi del cinema italiano, sin dalla prima volta che sono approdato al Lido: era il 1962, portavo "La comare secca". Sono passati 45 anni e sono ancora qui. Credo che la cosa più importante da fare sia curare il rapporto tra gli autori cinematografici e le istituzioni. Io faccio parte di un gruppo, i Centoautori, qualcosa di nuovo nato in modo spontaneo, e in cui mi sento bene. Abbiamo iniziato un dialogo col ministero della Cultura e contiamo che questo dialogo possa portarci a condividere la nuova legge del cinema. Ci contiamo con molta, fiducia. Questo aiuterà il cinema italiano. Credo sia importante per il nostro Paese. Speriamo di potere fare tante opere prime e seconde, che i giovani possano farsi accompagnare da noi con curiosità verso la mutazione costante che il cinema può proporci».
Ultimo aggiornamento: 11:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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