Gesto d'amore: dona un rene al marito per salvargli la vita

Mercoledì 14 Novembre 2018 di Guido Fraccon
Una immagine di archivio di un trapianto
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ROVIGO - L’amore allunga la vita: la moglie dona un rene al marito per curargli una grave insufficienza. Adria fa da sfondo a una meravigliosa storia d’amore, di speranza e di buona sanità. Lui, dirigente sportivo conosciuto a livello regionale, lei esponente del mondo scolastico, entrambi ultra60enni, a quasi un mese dalla donazione (il trapianto è avvenuto lo scorso 19 ottobre), hanno deciso di far conoscere a tutti, pur mantenendo l’anonimato, la loro a esperienza di vita che ha radicalmente cambiato le loro esistenze, prima, durante e dopo l’intervento, rafforzando ancora di più la loro unione.
 
«A causa di una ipertrofia prostatica mal curata - spiega la donna - mio marito è stato affetto per due anni da una insufficienza renale cronica. Il quadro clinico lo ha condotto a novembre dello scorso anno a sottoporsi a emodialisi all’ospedale Santa Maria Regina degli Angeli di Adria».
Seguiti inizialmente dal dottor Giuseppe Puma di Nefrologia 2 del Policlinico di Padova, che ha tentato invano per oltre un anno e mezzo di risvegliare i reni del paziente, poi dal Centro Emodialisi dell’Ulss 5, diretto dal dottor Fulvio Fiorini, e da tutta la sua equipe, marito e moglie hanno iniziato un percorso per verificare la compatibilità tra loro in vista di un trapianto di rene. L’equipe del Centro Trapianti del Policlinico di Padova, guidata dal professor Paolo Rigotti, in collaborazione con il Centro di Emodialisi di Rovigo, li ha seguiti passo dopo passo in una serie di analisi cliniche e psicologiche alquanto impegnative.
«Non sapevamo ancora - spiegano i due coniugi - né la percentuale di compatibilità, né a che punto eravamo con la serie di esami, che sembravano infiniti. Poi la dottoressa Flavia Neri ci ha dato appuntamento per il ricovero e l’intervento a Padova. L’impressione dell’iter ospedaliero che abbiamo avuto sia io che mio marito è stata assolutamente positiva per l’alta professionalità: l’organizzazione di medici e paramedici era perfetta. Poi per cortesia e umanità: il clima di accoglienza è ciò che traspariva in ogni momento delle giornate vissute in ospedale».
Perché avete voluto rendere nota questa vostra esperienza, questa storia d’amore, ma anche di sofferenza? «Spesso si sente parlare di malasanità, troppo poco si ringrazia per interventi che hanno del miracoloso, frutto di grandi sacrifici di uomini e donne che dedicano la loro vita a lenire le sofferenze altrui. Il secondo motivo è per dare speranza a chi come noi ha vissuto e sta vivendo momenti impegnativi della vita di coppia. Non si deve mai perdere la speranza. Alla fine del tunnel c’è una luce. L’importante è sostenersi a vicenda».
«In corsia abbiamo toccato con mano tra i pazienti l’amore, quello con la A maiuscola, quello che dà tutto e non chiede niente in cambio. Sorelle che donano il rene al fratello, genitori ai figli, un samaritano, così sono chiamati quelli che donano non a familiari, a un estraneo, di cui non conosceranno l’identità, ma cui donano una nuova opportunità di vivere una vita normale. L’amore c’è ed è qui tra noi. Non fa rumore come le foglie che cadono in autunno, ma diventa humus per far nascere nuova vita».
Chi volete ringraziare? «Oltre a chi ci ha seguito in questo percorso, grazie anche a tutti coloro che ci sono stati vicini in vari modi, parenti e amici, con preghiere e supporti logistici. Ci auguriamo che la nostra amministrazione regionale continui a sostenere politicamente ed economicamente queste nostre eccellenze che devono continuare a essere il fiore all’occhiello di una politica che metta al centro l’uomo in quelle fasi della vita in cui è più debole».
Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 11:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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