Chiese allagate con l'acqua alta. «Gli effetti si vedranno in futuro»

Venerdì 9 Novembre 2018 di Alvise Sperandio
VENEZIA L'interno di una delle chiese allagate con il maltempo del 29 ottobre
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VENEZIA Il peggio, forse, deve ancora venire. Solo a primavera, quando l’aria ritornerà a scaldarsi, si potrà capire quanto l’acqua alta straordinaria dello scorso 29 ottobre avrà danneggiato le chiese di Venezia. Perché la marea che con il picco dei 156 centimetri, il quarto della storia, ha allagato quasi l’80% della città, non ha messo in ginocchio soltanto la basilica di San Marco, ma tanti altri edifici di culto, storici e preziosi, dove i parroci dovranno aspettare qualche mese per quantificare le conseguenze subite. 
 
L’ELENCO
Nei giorni scorsi si era levato il grido di dolore del primo Procuratore di San Marco, Carlo Alberto Tesserin e anche il patriarca Francesco Moraglia, in occasione della festa di tutti i santi, aveva chiesto pubblicamente la conclusione e la messa in opera del Mose. Anche nel resto della città storica, però, l’impatto dell’acqua alta è stato pesante. «A soffrire sono state soprattutto le chiese il cui livello di calpestio è più basso di quello del medio mare», dice don Gianmatteo Caputo, delegato per i Beni culturali ecclesiastici. Dal monitoraggio effettuato dal Patriarcato risulta che quelle più colpite siano state la chiesa di San Giacomo dall’Orio, dove nella navata l’acqua è salita a mezzo metro, a Santa Maria Mater Domini e Santi Apostoli, 40 centimetri per ciascuna. Danni gravi a Sant’Alvise, San Marcuola, completamente allagate anche perché le pompe non sono bastate a fronteggiare l’arrivo dell’acqua quand’era a 1,40 e oltre che dall’esterno risaliva dal pavimento. Disagi pesanti a Torcello e Murano. Sotto acqua anche San Moisè e la cripta di San Zaccaria. Nei magazzini della canonica di San Silvestro, a Rialto, sono entrati 30 centimetri. San Giobbe si è coperta di una quindicina di centimetri, ma nella cappella dell’Opera Pia Contarini l’acqua è arrivata fin quasi alle ginocchia. Anche San Giovanni Crisostomo e la cripta dei Miracoli sono finite a mollo, mentre a San Polo è andato bagnato tutto il corpo della chiesa e a San Simeon i centimetri sono stati una decina. Allagamenti più contenuti ci sono stati ai Frari, dove l’acqua è entrata nella sala del Capitolo dal chiostro dell’Archivio di Stato, nella cripta dei Tolentini e nella canonica di San Pantalon. E pure la cappellina di San Cassiano non è rimasta indenne. Dopo le corse compiute assieme ai sacristi e ai volontari per spostare i banchi nelle zone più protette per e mettere in salvo il salvabile, adesso i parroci si augurano che i danni siano contenuti, anche se temono che non sarà così. Una volta asciugati, i pavimenti, i basamenti delle colonne, le pareti con i marmi e gli arredi sacri presenteranno il conto e ciò rischia di essere un contraccolpo serio per la diocesi e le singole parrocchie le cui casse non sorrideranno. 
LE CONSEGUENZE
«L’effetto lo si vedrà a distanza di mesi. Con l’acqua alta, che a Venezia è un fatto ordinario ma ormai sempre più ricorrente, è sempre così: bisogna aspettare la successiva bella stagione per capire l’entità delle conseguenze del processo di salinizzazione e di asciugatura», spiega don Caputo. Va da sé che a oggi non è assolutamente possibile quantificare in denaro l’ammontare dei danni e questo è un ulteriore elemento di preoccupazione per sacerdoti e fedeli che rischiano di trovarsi davanti a brutte sorprese e sempre con il timore che l’allagamento possa ripetersi. Molte chiese sono dotate di pompe per spingere fuori l’acqua, ma la marea eccezionale dei giorni scorsi ha dimostrato che non bastano perché l’acqua non arriva solo da fuori, ma viene su dai pavimenti e allora non ce n’è per nessuno: si tratta solo di aspettare che passi e poi asciugare il più possibile, quando però è ormai filtrata e la salsedine si è impregnata dappertutto. Lo stesso vale per le paratie che ci sono in più parti, ma che con il livello record del 29 ottobre. 
LA RICHIESTA
«Il colpo è stato duro e dovremo fare un monitoraggio a lungo termine – sottolinea don Caputo – Non ad un’autorità particolare, ma al “sistema città” chiediamo di essere messi nelle condizioni di attivare tutte quelle forme di prevenzione che ci consentano, se non d’impedire, almeno di contenere il più possibile le conseguenze del dilavamento: servono paratie più alte, pompe più potenti e lavaggi frequenti con acqua dolce. Così come ci si dota di un allarme per evitare i furti, è necessario fare tutto il possibile per difendersi dall’acqua alta». 
Alvise Sperandio
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Ultimo aggiornamento: 08:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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