Addio Roberto. Lo squero Tramontin piange l'erede dei costruttori di gondole

Giovedì 8 Novembre 2018 di Tullio Cardona
VENEZIA Roberto Tramontin, titolare dell'omonimo squero a due passi dall'ospedale Giustinian
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VENEZIA - In cantiere e nella carta intestata campeggia ancora la scritta: “Roberto Tramontin & figli”, intendendo con la dicitura “figli” una lunga dinastia di squerarioli, una sapienza antica di far barche. Purtroppo la dinastia Tramontin è finita ieri, con la scomparsa dopo lunga malattia di Roberto, 63 anni, l’ultimo della stirpe. La ditta è stata fondata il 2 Febbraio 1884 da Domenico Tramontin che, appresa l’arte di costruire gondole nel cantiere dei Casal ai Servi, apportò importanti cambiamenti al modello di scafo fino a quel momento costruito. Poi vennero altri Tramontin, fino a Giovanni e a Nedis, il padre di Roberto. Quest’ultimo lascia due figlie, fra le quali Elena, che vicino al cantiere del babbo aveva realizzato un negozio di moda i cui artifici glamour comprendevano i pezzi della gondola. «Mi rattrista non solo la mancanza della persona - ha commentato Giovanni Giusto, consigliere delegato alle Tradizioni - ma la scomparsa di un tassello della continuità della storia veneziana. E Roberto era un tassello importante». «Nedis, il padre di Roberto, era il maestro riconosciuto delle gondole - ricorda Aldo Reato, per anni presidente dei gondolieri – Nessuno come lui si era così specializzato in gondole, innovandone e migliorandone la forma. Le gondole Tramontin si riconoscono subito fra cento, dalla linea bella e la prua alta. Roberto si è trovato con questa grande maestria, imparando dal padre e dal nonno. Con Roberto mi legava un’amicizia nata da ragazzi: l’aspetto era imponente, burbero, poi si scopriva una persona ironica e simpatica. Abbiamo perso una parte importante della storia della gondola».
I RICORDI
«Cercava di portare avanti un mestiere non facile - è il ricordo del remèr Saverio Pastor - Roberto si è trovato con un’eredità pesante, tanto da farlo sentire spesso inadeguato, anche perché, rispetto al padre e agli antenati, si è trovato innanzi a nuove e sconosciute innovazioni tecnologiche. Il più giovane collega Matteo Tamassia lo ha aiutato ad adattarsi, ma ormai lavorava malvolentieri. Roberto era una persona buona, sempre di compagnia. Con lui siamo stati in Francia, a Macao, in Cina; era punto di riferimento non solo per le gondole, ma anche per le buone mangiate e bevute. L’ultima volta, conscio del male che ne minava la salute, mi ha detto: «Cossa go fato de mal per meritarme sto calvario, eppur me par de esser un bon fio…». Sapevamo tutti della sua malattia, ma speravamo che potesse tirare avanti. La sua morte perciò ci ha sorpreso e tutto il mondo del remo è amareggiato». «Fra colleghi c’è sempre un pizzico di invidia - conclude Agostino Amadi - invece io e Roberto eravamo talmente amici da stimarci e lodarci a vicenda».
Tullio Cardona
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Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 08:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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