Se il Tg2 si "dimentica" dei morti bellunesi. La gaffe del fisico del Cnr

Lunedì 5 Novembre 2018 di Ario Gervasutti
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia sui luoghi del disastro
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Sabato sera, Tg2 nazionale: un fisico del Cnr intervistato dalla conduttrice spiega che in fin dei conti sulle montagne venete e friulane «è andata bene, perché grazie alla prevenzione non ci sono stati morti». E l'effetto per chi ascolta è quello delle unghie sui vetri, o dei gessi sulla lavagna. Perché i morti, qui, ci sono stati: si chiamavano Sandro Pompolani, Valeria Lorenzini, Ennio Piccolin.
Magari al fisico interessava soprattutto evidenziare il fatto che i danni provocati dalla furia della natura si possono  limitare con la cura del territorio come nelle Dolomiti sono riusciti a dimostrare: voleva sottolineare un dato positivo e gli è scappata una gaffe. Ma il fatto che la conduttrice non lo abbia corretto dice invece un'altra cosa:  dice che non è un caso se i telegiornali nazionali si sono accorti del disastro sulle nostre montagne con cinque giorni di ritardo. Era accaduta la stessa cosa otto anni fa, con l'alluvione di Vicenza.
E il motivo è sempre lo stesso: il raggio di attenzione di certe testate giornalistiche non va molto più in là di certi palazzi. 
E quel che succede oltre una certa latitudine è trattato con sufficienza, o sottovalutato, o ignorato. Possiamo definirlo un doppiopesismo di comodo, nel senso che è molto più semplice occuparsi dei panfili di Rapallo incagliati per la mareggiata, piuttosto che arrampicarsi sulle Dolomiti per raccontare di 150mila persone senza luce, acqua, gas, comunicazioni. In realtà è una forma mentale, un provincialismo che rende miope anche chi dovrebbe fare informazione per tutto il territorio nazionale e invece non riesce a vedere oltre i propri orticelli.
Sia chiaro: non siamo qui a fare la gara a chi ha subìto più danni. Soprattutto nel giorno in cui piangiamo altri morti nella martoriata Sicilia. Men che meno vogliamo fare i maestrini di giornalismo. Conosciamo le regole: un albero che cade vicino a casa nostra fa molto più rumore (e audience) di una foresta che brucia in Amazzonia. Non a caso i quotidiani locali o regionali prestano più attenzione a ciò che avviene nelle loro aree di diffusione rispetto alle stragi in Afghanistan. Ma quando si svolge un servizio pubblico nazionale l'area di diffusione deve essere - appunto - quella nazionale. Altrimenti è legittimo il sospetto che dentro quell'area ci siano figli e figliastri. E la conseguenza, per andare sul concreto, è che a fronte di un'intera provincia disastrata come le città costiere americane dopo il passaggio di un uragano, ci sia la tentazione di minimizzare, perché in fondo non ci sono stati morti e un po' di alberi abbattuti fanno colore o poco più. Invece no: fanno danni per centinaia di milioni di euro. Centinaia. Di milioni. E paura, choc, disperazione.
Quando i primi soccorritori con le ruspe sono riusciti a liberare la strada per raggiungere alcuni dei paesi rimasti isolati dalle frane, si sono avvicinati ai centri abitati e hanno trovato i tronchi degli alberi - che poche ore prima ostruivano il passaggio - puliti e accatastati sul ciglio della carreggiata: pronti per la segheria. Sono abituati ad arrangiarsi da soli, da quelle parti. Ma questa non può essere una scusa per lasciarceli, da soli. O per dimenticarsi delle vittime.
Ultimo aggiornamento: 17:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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