Scopre il gene delle morti improvvise, «ma sono a Oxford perché l'Italia non mi dà lavoro»

Sabato 13 Ottobre 2018 di Laura Bon
Giulia Poloni
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MONTEBELLUNA - Dal 2016 la biologa montebellunese Giulia Poloni lavora a Oxford. Il suo è, infatti, uno dei tanti cervelli in fuga per i quali le Università e aziende italiane non sono riuscite a trovare un posto adeguato alle competenze e ai sogni. O che, comunque, hanno visto fuori dal bel paese un modo per esprimersi e crescere dal punto di vista professionale. Prima di andarsene altrove, però, Giulia, che ora ha trent'anni, da ricercatrice ha lasciato il segno. E chissà quanti altri avrebbe potuto o potrebbe lasciarne se solo l'Italia sapesse valorizzarla. Giulia, figlia di Licia Albanese e Sandro Poloni, fa parte del gruppo di ricercatori che, coordinato dalla Professoressa Alessandra Rampazzo, del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova, è riuscito a scoprire un nuovo gene coinvolto nella cardiomiopatia aritmogena, cui sarebbero legate le morti improvvise di giovani atleti e non solo
Un importante passo avanti, insomma, nella prevenzione di tali tragici eventi grazie all'individuazione dei soggetti a  rischio, che possono essere sottoposti a controlli cardiologici accurati ed a terapie farmacologiche preventive. Del resto, studi precedenti condotti dal medesimo gruppo dell'Università di Padova avevano già portato all'identificazione di 6 geni associati alla morte improvvisa giovanile. E tali risultati, che solo ora sono ufficialmente sotto gli occhi di tutti, ma che rappresentano il frutto di studi condotti in particolare fra il 2013 e il 2015, hanno, a Montebelluna, un pizzico di Dna. Infatti, se in futuro si potranno evitare o prevedere tragedie di tali tipo il merito è anche della giovane ricercatrice montebellunese. Che però, a Montebelluna non è. Ma non è neppure nel Veneto o nella penisola. Dopo la laurea in biologia sanitaria a Padova nel 2012, Giulia ha svolto, per tre anni, il dottorato di ricerca in genetica umana, scuola, scienze cardiovascolari. Poi, però, il destino l'ha portata all'estero, dal 2016. Ha vinto infatti una borsa di studio della Fondazione Ermenegildo Zegna a Oxford e vi si è trasferita. La borsa di studio sarebbe dovuta durare un anno, ma le è stata prorogata e ora la studiosa sta preparando un nuovo progetto, che verrà valutato ed eventualmente confermato a gennaio. Pertanto, Brexit permettendo, è molto probabile che la sua vita professionale continui fuori dall'Italia. 
LA FUGA«Andarmene è stata una mia scelta -spiega da Oxford la ricercatrice- fa però un po' pensare che tutte coloro che hanno partecipato a quello studio se ne siano andate, una in Olanda e l'altra a Bolzano; i fondi dell'Università, infatti, sono ancora troppo limitati per tenerci e per continuare le ricerche. Questo è un po' triste come è triste che tra i dieci ricercatori più citati al mondo ci siano due Italiani, che però non lavorano in italia». Prospettive per il futuro? «Sono combattuta, qui sto bene, ci sono più risorse. Soprattutto però c'è la meritocrazia; qui a un concorso si partecipa tutti allo stesso modo; in Italia all'università si tende a dare fiducia a chi è già dentro al sistema e io per il sistema non sono nessuno. L'Italia mi ha dato le basi e tutto quello che sono. Il brutto è che ora stiamo portando via ciò che ci è stato dato». Ma una cosa è chiara: «Non sono disponibile a scendere a compromessi. Se torno è solo per qualcosa di professionalmente uguale o migliore, anche se mi manca il contorno: in Italia si vive bene, la qualità della vita è migliore». Il bel paese, insomma. Da cui, però, i cervelli fuggono. 
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 14:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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