Penzo, l'aviatore di Malamocco che diede il nome allo stadio

Sabato 29 Settembre 2018 di Raffaella Vittadello
VENEZIA La foto di Pierluigi Penzo nei giornali del 1928
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VENEZIA - Amava la vita e l’avventura, ma non aveva paura della morte Pierluigi Penzo. Aveva 32 anni quando si schiantò fatalmente con l’idrovolante “Marina 2” che per errore aveva toccato i cavi dell’alta tensione durante un ammaraggio di fortuna sul Rodano per colpa del maltempo. Era il 29 settembre di 90 anni fa. Luigi, il figlio unico della sua compagna Linda era un bambino di appena 10 mesi. Oggi di anni ne ha 91 e racconta spesso, con passione ed entusiasmo e con una memoria enciclopedica, le vicissitudini di quegli anni ai suoi figli, uno dei quali si chiama Pierluigi come il nonno. Pochi i ricordi diretti, tanti gli aneddoti tramandati della sua infanzia. Non può ricordare nulla, infatti, Luigi, della tragedia che si consumò intorno alla sua famiglia, della nonna che mentre svolgeva le faccende domestiche una domenica mattina si vide piombare in casa un funzionario del municipio per comunicare che quello che veniva considerato un eroe dell’aviazione non sarebbe più tornato. Nonostante un telegramma del giorno prima in cui diceva che stava arrivando, tanto che i fratelli erano in viaggio da Venezia verso Pisa dove il suo aereo si sarebbe dovuto avvistare in cielo il giorno dopo, in orario non precisato. Non ricorda il funerale nella chiesa di Santa Lucia, con le onoranze solenni tributate all’aviatore, e la sepoltura al cimitero di San Michele. Nè l’intitolazione, qualche anno più tardi, nel 1931 dello stadio veneziano - il secondo più antico d’Italia dopo il Ferraris di Genova - che fu inaugurato con un concorso internazionale di ginnastica proprio all’aviatore: la notizia della scomparsa aveva fatto scalpore. Ma ha custodito gelosamente i quotidiani dell’epoca, ingialliti, ma che rappresentano una testimonianza preziosa
LE ORIGINI 
Pieluigi Penzo era nato a Malamocco, borgo lidense che gli dedicò la scuola elementare, ma quando il padre Vittorio fu chiamato a dirigere la corporazione degli ormeggiatori del porto la numerosa famiglia si trasferì a Venezia, perchè i collegamenti con le isole allora erano impensabili. E a Venezia frequentò prima l’istituto nautico, poi l’accademia militare. A vent’anni era già arruolato nella Regia Marina. Ma non era il mare ad attirarlo, quanto piuttosto il cielo, un settore, quello dell’aviazione, agli albori. Ed eccolo prendere il brevetto di pilota di idrovolante a Sant’Andrea. Ma non furono solo successi: fu abbattuto verso le fine della prima guerra mondiale nell’Alto Adriatico, fatto prigioniero, processato a Spalato per irredentismo, spedito in campo di concentramento a Mathausen. A fine guerra fu congedato, e divenne molto amico di Gabriele D’Annunzio, con cui condivideva la passione per il volo. E dalla Marina passò all’Aeronatica, partecipando a crociere con personaggi del calibro di Italo Balbo. Poi la spedizione al Polo Nord, con la missione di salvataggio all’equipaggio del dirigibile Italia di Umberto Nobile e il triste epilogo al rientro. 
IL FIGLIO
Luigi, che tutti iniziarono a chiamare Pierluigi in onore del padre eroe che non c’era più, ha vissuto gli anni della prima infanzia a Pola, città di origine della mamma. «Ma rimase molto legato a Venezia, dove arrivava in aereo, dove c’erano i nonni e gli zii. In particolare lo zio Attilio, al quale nonno Pierluigi aveva idealmente affidato moglie e figlio in una lettera accorata» racconta la nipote Lucia. E proprio dalle vecchie lettere ritrovate nei giorni scorsi dai familiari emerge il lato “umano” dell’aviatore di cui anche ai Giardini napoleonici viene custodita una statua alla memoria. Ne esce la figura di un top gun classe 1896, con un grande attaccamento alla donna della sua vita, cui sapeva scrivere lettere dolcissime, ma che era irresistibilmente calamitato dalla sua professione, pur nella consapevolezza del rischio che correva in ogni volo. E i voli erano tanti. «Prima di partire per il polo Nord - racconta ancora Lucia - aveva raccomandato allo zio Attilio di prendersi cura del figlio e della moglie se gli fosse accaduto qualcosa. Quasi avesse il presentimento». E anche il cane che Pierluigi aveva portato da un viaggio fu molto protettivo nei confronti del piccolo: dalla morte del padrone divenne feroce con le persone e gli altri animali, ma era affettuosissimo con il bambino. Fu proprio lo zio a scegliere per Luigi il collegio degli orfani dell’Aeronautica, dove Luigi entrò a 9 anni: «Un posto dove i ragazzi, accomunati dal fatto di essere orfani di personaggi spesso famosi, studiavano, facevano ginnastica, andavano al mare, in montagna in un clima di cameratismo che è rimasto tale ancora oggi. Una specie di famiglia allargata» prosegue Lucia. Anche Luigi prese il brevetto di pilota di volo, e paradossalmente il fatto di essere chiamato come il papà, Pierluigi - mentre per brevità il padre veniva chiamato Luigi - creò un’omonimia che invece di favorirlo gli fu burocraticamente d’impiccio. Ma poi il titolo fu attribuito. «Papà ha fatto carriera nell’aeronautica, ma non è mai stato il classico militare, ha fatto anche qualche anno di medicina, ma si è sempre interessato di tutto - spiega ancora la figlia Lucia - ti parla delle stelle, di come si fa una puntura, di filosofia, dell’atomo, ma anche della frangetta di Naomi Campbell».
Ultimo aggiornamento: 11:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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