Daniele, Tiziana e le loro 115 mucche in malga sul massiccio del Grappa

Martedì 11 Settembre 2018 di Vittorio Pierobon
Daniele, Tiziana e le loro 115 mucche in malga sul massiccio del Grappa
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La professione del malgaro raccontata dai coniugi Gallina che gestiscono malga Piz, a quota 1450 metri, sul massiccio del Grappa «Sveglia alle 4.30, mungitura delle bestie, pascolo e poi rientro per fare il formaggio», ma questo è solo l'inizio di giornate faticose e di un lavoro che non consente ferie. I sacrifici e la soddisfazione di fare prodotti non omologati, poi offerti nel loro agriturismo.

Le conosce tutte per nome: Eike, Dixi, Bionda, Jasmine, Katia I nomi esotici potrebbero trarre in inganno, e far pensare a belle ragazze. Ma sono mucche. In tutto sono 115, allevate con amore, quasi coccolate. «Come potrei 
non conoscerle - scherza Daniele Gallina, 28 anni, professione malgaro - Abbiamo grande confidenza, sono sempre alle prese con le loro mammelle: le mungo due volte al giorno.



Loro mi conoscono e io ricambio l'amicizia. Sono riconoscente alle mie mucche, sono loro che con il latte che producono danno da vivere alla mia famiglia».


I LUOGHI SALVATI
Siamo a malga Piz, quota 1450 metri, sul massiccio del Grappa, versante bellunese, in comune di Alano di Piave. Paesaggio incontaminato. Si arriva in auto seguendo una stradina strettissima che si inerpica per dieci chilometri. Meglio a piedi, lungo il sentiero tra i boschi. La collocazione geografica non è un dettaglio, perché Alano è l'unico comune bellunese ad aver salvato tutte le sue malghe. Una decina, tutte funzionanti.
«É stata una scelta precisa, fatta negli anni Sessanta - spiega il geometra comunale Renzo Todoverto - Il terreno montano doveva restare attivo, affidando la gestione a gente con la professionalità adeguata. Il Comune riceve un canone d'affitto e garantisce una serie di servizi. Ci sono regole ben precise, una quota delle bestie deve essere di proprietà del locatore che si deve impegnare a farle produrre. Latte e formaggio, non carne. In questo modo i malgari sono tornati e il territorio viene presidiato e preservato».

L'INSOLITA SCOMMESSA
Nel 2014 è arrivato anche Daniele con la moglie Tiziana Miuzzi. Due giovani che hanno scommesso sulle mucche. Certo la tradizione di famiglia è stata d'aiuto (proprio nei giorni scorsi, Graziella Carraro, mamma di Daniele, ha ricevuto il premio Fedeltà alla montagna), ma le tentazioni non mancavano. Un posto fisso in fabbrica con ferie pagate, orario di lavoro prestabilito e week end a casa. «Fino a qualche anno fa i giovani sceglievano la fabbrica - chiarisce Daniele - ora sta cambiando, c'è un ritorno alla natura. Ma ci vuole tanta passione, perché qui la vita è dura. Durissima». Daniele guarda Tiziana, uno sguardo d'intesa: i sacrifici in due si affrontano meglio.

UN LAVORO SENZA SOSTA
Tanto per capire di che sacrifici stiamo parlando, com'è la giornata tipo del malgaro? «Sveglia alle 4.30-5 di mattina. La prima cosa da fare è mungere le bestie, che poi vanno portate al pascolo, poi si torna in malga per fare il formaggio, nel tardo pomeriggio si riportano le mucche in stalla per la seconda mungitura. Questo tutti i giorni dei quattro mesi di alpeggio. Poi si aggiungono i lavori di mantenimento della malga: preparare le pozze per l'acqua, pulire le stalle, seguire gli altri animali d'allevamento, accudire le bestie partorienti e occuparsi dell'agriturismo, fonte di reddito necessaria per far quadrare i conti. Ma non è finita: bisogna anche pensare all'inverno, tagliare l'erba per fare il fieno, per esempio».
Un ritmo di lavoro faticosissimo, affascinante da raccontare, stroncante per chi lo pratica. Non esistono giorni di festa. Non parliamo di ferie. «Al massimo d'inverno due o tre giorni, però devo chiedere ai miei genitori di lavorare al posto mio: le vacche vanno munte ogni giorno. E le stalle vanno pulite». Daniele non si lamenta, non cambierebbe nulla della sua vita. É felice della scelta che ha fatto, orgoglioso dei risultati raggiunti. «Quando siamo arrivati nel 2014 qui era un disastro, i locali sporchi e cadenti, i prati infestati dagli sterpi. Sono serviti due anni per ripulirla, ora guardi che spettacolo». Gli brillano gli occhi, ammira soddisfatto le sue bestie, i suoi prati, la sua terra. Sta costruendo il suo futuro, ma sta svolgendo anche un importante servizio sociale.
Le malghe sono un presidio fondamentale per preservare le aree montane. In Veneto sono circa 700, molte ormai abbandonate con un inevitabile degrado del territorio. Si calcola che dal 1970 al 2000 si sia perso un 35% del territorio da pascolo, a vantaggio del bosco. E non è un bene.

IL NUOVO NEMICO
Ora c'è un'inversione di tendenza, anche grazie alle azioni di sostegno della Regione, ma la situazione resta precaria. E avanza un nuovo nemico: il lupo. Una presenza sempre più diffusa in tutto l'arco alpino con punte nel Bellunese, in Lessinia e sull'Altopiano di Asiago.
«Pochi giorni fa abbiamo avuto un assalto - racconta Daniele - un lupo ha attaccato alle zampe uno degli animali. Per fortuna è accorso il mandriano e il lupo ha mollato la preda. Ma prima di scappare ha fatto qualche passo verso il mio collaboratore, ringhiando. Se l'è vista davvero brutta. Ma se arrivano i lupi, noi non possiamo restare. La convivenza non è possibile. Se un secolo fa i nostri vecchi li hanno sterminati tutti ci sarà stato un motivo. E lo dico con dispiacere, perché io amo gli animali, però i lupi liberi sono un pericolo per tutti. E sono tanti, in pochi anni sono aumentati di molto. Se è venuto una volta può tornare, ha capito dove c'è da mangiare». A dire il vero a malga Piz non c'è da magiare solo per i lupi.

IL FIORE ALL'OCCHIELLO
L'agriturismo è il fiore all'occhiello dei gestori. «Piatti semplici, niente primi - racconta la moglie Tiziana, che si occupa anche dei fornelli - Taglieri di salumi e formaggi e per secondo facciamo carne. Il pezzo pregiato è il nostro Morlac».
«Per forza facciamo formaggio buono - puntualizza il marito - le nostre vacche danno un latte super. Del resto le trattiamo da signore. Io non le spremo, preferisco avere meno latte, ma far durare di più l'animale. E quando una vacca partorisce la lascio a pascolare in pace. Fa vacanza in malga». Un rapporto simbiotico con le bestie. Daniele confida che a fine ciclo non vorrebbe liberarsi dell'animale, ma dopo anni di onesto lavoro, quando non producono più latte, il destino, purtroppo, è il macello. «Da me arrivano a produrre latte anche per 15 anni. Ma poi non posso tenerle in pensione - quasi si giustifica - però non voglio che soffrano». Il rispetto per gli animali ha portato i due malgari a lanciare le adozioni a distanza. Chiunque, con una piccola quota, può adottare un animale: in Facebook c'è la galleria con le foto delle mucche. In cambio chi adotta riceve il formaggio prodotto dal suo animale. Unica condizione andare in malga a tenere un po' di compagnia alla mucca. Se sono serene anche il formaggio è più buono.

vittorio.pierobon@libero.it
Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 16:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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