Reddito di cittadinanza, spunta il piano per il rinvio a metà 2019

Lunedì 10 Settembre 2018 di Michele Di Branco e Umberto Mancini
Reddito di cittadinanza, spunta il piano per il rinvio a metà 2019
«E’ inutile cercare 2-3 miliardi di deficit se ne perdiamo 3-4 dal lato dei tassi di interesse». Dal ministero dell’Economia fanno notare che la chiave per comprendere la ragione per la quale Giovanni Tria tiene duro, con la maggioranza che lo incalza, sul rispetto degli impegni con l’Europa sta in questa frase che il titolare di Via XX Settembre ha pronunciato ieri a Cernobbio.

Il ministro sta cercando di convincere Lega e 5 Stelle che cercare le prova di forza con Bruxelles reclamando una flessibilità eccessiva, ben oltre il 2%, esporrebbe l’Italia al rischio speculazione. Una strada pericolosa pagata con l’aggravamento della spesa per interessi. Insomma i 30 miliardi (di cui 12,5 solo scongiurare l’aumento dell’Iva) necessari per fare la manovra vanno trovati dentro le pieghe del bilancio ma non bisogna illudersi che i soldi possano saltare fuori in “deficit spending”. Bisogna stare dentro il recinto del 2% garantendo ai partner europei un percorso di riforme e di rientro graduale ma certo del debito pubblico. Tria è convinto che questa strategia basterà, perché si è fatto l’idea che fra qualche giorno ci saranno sorprese positive sul fronte della crescita. Le stime sull’economia, in rallentamento negli ultimi mesi tanto da proiettare il Pil addirittura sotto l’1%, sono attese per il 20 settembre dell’Istat e si spera in nuone notizie.

Questo, ovviamente, aprirebbe la strada a maggiori risorse finanziarie. Entro il 27 settembre il governo dovrà spedire a Bruxelles la nota di aggiornamento del Def che conterrà i numeri della legge di Bilancio, la cui discussione entrerà nel vivo a ottobre. Una cosa è certa, ribadiscono ad una voce fonti pentaleghiste, le tre riforme cardine del contratto di governo gialloverde partiranno tutte insieme nel 2019: per Flat tax, reddito di cittadinanza e riforma del sistema Fornero i margini di bilancio ci sono e saranno i pilastri della manovra. Certo le promesse elettorali sono piuttosto impegnative. La riforma fiscale targata Lega, con dentro l’assaggio della Flat tax (taglio di un punto dell’ultimo scaglione Irpef come anticipato dal Messaggero), la riduzione delle imposte per 1,5 milioni di autonomi, la sforbiciata alle accise sui carburanti e la riduzione dell’Ires per le imprese che reinvestono gli utili, costa oltre 5 miliardi. Mentre il Reddito di cittadinanza pesa per altri 8, due dei quali solo per far partire i centri per l’impiego. In queste ore è spuntata l’ipotesi, caldeggiata dalla Lega e allo studio del Tesoro, di farlo partire nella seconda parte del prossimo anno. Un modo come un altro per risparmiare qualche miliardo e mettere a punto la riforma degli strumenti di sostegno per i più bisognosi.

PORTA STRETTA
Quanto alla riforma della Fornero costa 4 miliardi solo per realizzare un modesto ritocco. E allora si torna al punto di partenza. Da una flessibilità giudiziosa potrebbero spuntare fuori 10 miliardi: dove trovare gli altri 20? Tolta dal mazzo la «pace fiscale» in quanto misura una tantum e non strutturale, si parte da una spending review ancora più forte rispetto al passato e piuttosto incisiva, ad esempio, sul fronte del taglio agli incentivi alle imprese. In arrivo, oltre a un intervento di disboscamento delle tax expenditures, la consueta dieta nei confronti dei ministeri, nonostante le loro richieste e le loro barricate. Quello della Pa, ad esempio, guidato da Giulia Bongiorno, punta a un turnover al 100% nel prossimo triennio, con le assunzioni da concentrare però in un solo anno, per dare fiato soprattutto alla giustizia. Il ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, parla invece di un piano di assunzioni straordinario nella cultura con qualche migliaio di assunzioni nei prossimi due o tre anni.
 
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