“Colpo del secolo” a palazzo Ducale
6 dell'Est e una talpa: fiato sul collo

Giovedì 6 Settembre 2018 di Davide Tamiello
Il momento del furto
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VENEZIA La via è quella dei Balcani. L’ipotesi investigativa principale seguita dai detective dello Sco (Servizio centrale operativo) di Roma e della squadra mobile di Venezia è che la banda capace di mettere a segno il colpo del secolo, il 3 gennaio scorso a Palazzo Ducale, sia originaria di una zona compresa tra Serbia, Montenegro e Croazia. Le indagini, come precisato martedì a Venezia anche dal capo della Polizia, sono ancora in corso, ma ormai sembra chiaro che gli inquirenti abbiano imboccato una direzione precisa. Tanto da far sbilanciare lo stesso Franco Gabrielli: «Sul caso del Ducale presto daremo delle risposte». 
 
PROFESSIONISTI
Il fascicolo del pubblico ministero Raffaele Incardona, ovviamente, è top secret. Impossibile stabilire, quindi, a che punto siano arrivate le operazioni. Gli investigatori, però, starebbero cercando un gruppo nutrito. Quelle due persone inquadrate dalle telecamere di palazzo Ducale l’ultimo giorno della mostra “Tesori dei Moghul e dei Maharaja”, infatti, potrebbero essere solo il terminale di una batteria ben più ampia. Nel mirino della procura ci sarebbero almeno una mezza dozzina di persone (ma potrebbero essere anche di più), tutti stranieri dell’Europa dell’Est. Professionisti che potrebbero aver messo a segno anche altri colpi. Gli uomini della mobile lagunare, infatti, starebbero confrontando le modalità operative di altri grandi furti avvenuti sia in alcune città del Nord Italia sia all’estero, per capire se possano essere riconducibili allo stesso gruppo criminale. Se i raffronti dovessero dare un riscontro positivo, la procura potrebbe decidere anche di contestare anche il reato associativo. Sempre che, va sottolineato, le tessere del mosaico degli inquirenti finiscano per combaciare perfettamente. 
TECA APERTA 
L’unica certezza, il dato da cui anche la polizia è partita, è che la teca dei gioielli, all’arrivo in sala dei ladri, era già aperta. Lo dicono le immagini delle telecamere: delle tre in fila, quella presa di mira dai banditi era l’unica caratterizzata da una lunga fessura di luce sul lato superiore. Fessura che, senza interruzioni, si spalanca nel momento in cui la coppia riesce a far scattare il meccanismo dal basso: probabilmente, era stata solo appoggiata. Quella stessa teca aveva fatto scattare, nei giorni precedenti, diversi falsi allarmi. Questo poterebbe a due conclusioni: la prima è che il colpo potrebbe aver avuto una pianificazione nel lungo periodo. Se l’allarme scatta per la prima volta, la tensione è alle stelle. Se succede una volta al giorno, l’attenzione della vigilanza comincia a calare, è una reazione quasi fisiologica. La strategia, quindi, avrebbe avuto lo scopo di far guadagnare secondi preziosi alla banda. Ma c’è anche un altro aspetto: il gruppo aveva una talpa. Qualcuno che avrebbe agito dall’interno, preparando il terreno, lasciando socchiusa la teca, a chi sarebbe arrivato poi. Ecco spiegato, quindi, come il ladro sarebbe riuscito a scassinarla a mani nude. La logica farebbe pensare che un infiltrato, per avere efficacia, debba per forza far parte del personale della mostra. È probabile che da questo assioma gli investigatori siano arrivati a risalire ai vari rami dell’organizzazione. 
MERCE CHE SCOTTA
Tra le risposte annunciate da Gabrielli, si attende anche quella più importante (quantomeno per le vittime dirette): che fine hanno fatto i gioielli del maharaja? I ladri hanno avuto nove mesi di tempo per piazzarli sul mercato nero. Un’impresa comunque non facile: quel tesoro, finito sulle pagine di tutti i giornali del mondo, è merce che scotta. Riuscirà la polizia a recuperarlo? 
 
Ultimo aggiornamento: 21:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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