Nella galassia degli stllisti (limitandoci ovviamente ai grandi stilisti, consacrati da griffe altisonanti che li pongono nel poligono degli eletti) è interessante notare come l’ AD di un’azienda, la proprietà, si comporti nella scelta del creativo - lo stilista - al quale affidare i destini della Maison, la buona o cattiva accettazione da parte del pubblico. Spesso da quella scelta ci perviene la corretta informazione su ciò che quell’azienda cerca, chi vuole assecondare come pubblico, quali sono le previsioni per il futuro. Non è questa la sede (lo faremo in altro momento, lontano dalle sfilate che stanno occupando queste giornate a Parigi) per analizzare i segreti pensieri degli imprenditori che gestiscono la moda nel mondo, ma la sfilata che il 2 luglio scorso ha aperto ufficialmente la rassegna francese d’alta moda con la collezione firmata da Maria Grazia Chiuri per Dior, ci racconta con un percorso psicanalitico annunciato proprio dalla stilista, i perché di una scelta che vuole essere un affondo nella psicologia di un abito di alta moda. Abbiamo appena dedicato pagine al problema italiano di alta moda sì alta moda no, ed ecco che – come del resto è già accaduto – il cervello pensante di Dior ci consegna un manifesto dell’alta moda firmato appunto dalla Chiuri.
Sicura, priva di tabù (almeno fino a indagini lacaniane che tra le righe lei evoca a proposito di questa collezione) , decisa a riprendere del massimo stilista della seconda metà del Novecento, Christian Dior, del quale è stata chiamata a reggere la fama e il prestigio, suggerimenti cercati nelle pieghe di un archivio che è una passeggiata nella memoria e una serie di indagini sui perché.
Rievocazioni sulla giacca bar che con le maniche a pipistrello - presenti in molti capi della collezione A/I 2018-19 - assume nuova identità , forte di un carattere che vuole restare ben presente; giochi di sfumature che raccontano un libro nuovo sul nude, facendo il verso al famoso new look di Dior, la Chiuri lancia il nude look che non significa tanto trasparenze o proposte osèes , ma la declinazione più completa del colore della propria pelle: i toni beige che sfumano nel rosa (che proprio rosa non è), il caffelatte rosato. Resta comunque il carattere di quel colore che originariamente si chiamava rosato che lascia interpretare innocenze ambigue, esternazioni frenate, giochi di apertura con quegli abiti lunghi sbiechi e arricciati che rendono liquida la silhouette regalando femminilità e fermezza. Resta nell’immaginario che la Chiuri ci consegna con questa collezione l’immagine di una donna forte e consapevole, pronta a trasformare in dolcezza, in una nuova femminilità, un momento di relax del pensiero forte che la distingue. Soprattutto, con l’alta moda Dior, la Chiuri ha voluto ribadire ( e questa volta lo ha fatto in forma più che esplicita) il suo rispetto per l’alta moda e la diversità di interpretazione che si deve dare a un modello di pret-à-porter o a uno di alta moda. “Lo ricordiamo quello che la Chambre parigina dice chiaramente quando precisa cosa debba intendersi per alta moda? – si chiede la stilista di Dior, ricordando che quel dettato scolpito nel “Dictionnaire de la mode au XXe siècle” – Parigi, Regard, 1994, recita che “ un vestito d’alta moda deve essere realizzato esclusivamente all’interno dell’atelier, disegnato dal couturier, o dai suoi più stetti collaboratori presenti a tempo pieno” . Si possono disintegrare queste regole ferree? – si chiede la Chiuri, definendo gli atelier “luoghi che conservano i pensieri” e dove anche le regole più ferree si possono convertire purchè si rispettino i valori.
La più pugnace tra gli stilisti di oggi è anche la più severa conservatrice di uno stile di lavoro, di una classe che consenta allo stilista di immaginare, giocare, sognare senza mai perdere di vista il fine: un dettato nuovo che possiamo affidare a un vestito. La sua , da sempre, è una battaglia con la voglia di mutare l’immutabile senza perderne i contorni. Questo sta facendo per Dior e questo racconta con la collezione che ha riscosso gli applausi di quanti nella griffe più famosa di Francia vedono anche la modernità di un pensiero che non rifugge da una certa voglia di combattimento che non abbandona mai la giovane artista. E finora, dalle sue battaglie, sta uscendo più che vincente. Direi che il Maria Grazia Chiuri-pensiero è un marinettismo del terzo Millennio, che distrugge per costruire.
No alla polvere di ieri ma avanti con il valore dell’eleganza che non deve scomparire mai.
Ultimo aggiornamento: 00:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA
MODI E MODA di
Luciana Boccardi