G7, Trump attacca Trudeau: disonesto e debole. Poi ritira l'appoggio al comunicato finale

Sabato 9 Giugno 2018
G7, Trump attacca Trudeau: disonesto e debole. Poi ritira l'appoggio al comunicato finale

Colpo di scena finale al vertice del G7 di Charlevoix in Canada.

Al termine di un summit teso e pieno di divisioni fra Stati Uniti ed Europa, Donald Trump - mentre era già in viaggio verso Singapore dove incontrerà il leader nordcoreano Kim Jong-un - posta due tweet al veleno contro il primo ministro canadese Justin Trudeau e ritira l'appoggio al comunicato finale del vertice. Un testo faticosamente redatto dopo una lunga trattativa in particolare sul tema dei dazi che contrappone le due sponde dell'Atlantico. 

«Considerate le affermazione false di Justin (Trudeau) alla sua conferenza e il fatto che il Canada impone massicce tariffe sui nostri agricoltori, lavoratori e imprese, ho dato istruzioni ai funzionari Usa di non approvare il comunicato. E stiamo pensando a dazi sulle auto che invadono il mercato in Usa», ha scritto Trump.
 
Il presidente americano ha definito poi in un altro tweet «molto disonesto e debole» Trudeau per aver detto nel corso della sua conferenza stampa finale del G7 che le tariffe Usa sono «un insulto».

 
«Noi canadesi siamo gentili, siamo ragionevoli, ma non ci faremo maltrattare». Questa la frase pronunciata dal premier del Canada che ha fatto infuriare Trump. Trudeau ha criticato duramente i dazi su acciaio e alluminio contro Canada, Messico ed Europa. «Ho detto direttamente al presidente americano - ha affermato il primo ministro - che i canadesi non lasceranno facilmente che gli Stati Uniti vadano avanti con tariffe significative contro la nostra industria dell'acciaio e dell'alluminio. E non lasceranno che questo avvenga per presunti motivi di sicurezza nazionale dopo che i canadesi dalla prima guerra mondiale in poi si trovano spalla a spalla con i soldati americani in terre lontane dove ci sono conflitti. Per noi - aveva concluso Trudeau - questo è un insulto». 

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«Ci atteniamo al comunicato, come approvato da tutti i partecipanti» al G7. È questa, secondo quanto si apprende da fonti europee, la reazione di Bruxelles alla retromarcia di Trump.

Fino ai tweet del presidente americano i leader del G7 erano riusciti, almeno formalmente, a evitare la spaccatura plateale anche se non avevano trovato l'accordo quasi su nulla. Eccetto il limatissimo documento finale, in bilico fino alla fine ma poi firmato da tutti, prima del voltafaccia di Trump. Nessuna intesa comunque c'era stata sui nodi cruciali, a partire proprio dal braccio di ferro tra Usa e Ue sui dazi. Lo ha detto chiaramente Angela Merkel: non abbiamo risolto «i problemi nel dettaglio, abbiamo opinioni differenti dagli Usa». E lo ha ribadito il presidente francese Emmanuel Macron. «La dichiarazione sul commercio non risolve tutti i problemi». Mentre il padrone di casa, il canadese Justin Trudeau, è stato ancora più diretto: con Trump, ha sintetizzato, «ci sono state conversazioni piuttosto ruvide riguardo i dazi».

Eppure, rispetto ai toni apocalittici del primo giorno, qualcosa sembrava essere cambiato. Lasciando il vertice in anticipo per evitare nuove frizioni sul cambiamento climatico, Trump aveva usato toni più concilianti nei confronti dei partner del G7. «Gli Usa sono stati trattati ingiustamente sul commercio - ha detto - io non do la colpa agli altri, do la colpa ai nostri leader passati. Abbiamo perso 817 miliardi di dollari sul commercio, è ridicolo e inaccettabile». Ma sui dazi imposti dal primo giugno non è arretrato di un millimetro. Anzi, ha fatto un salto in avanti, mandando un messaggio chiaro ai partner europei: «Se pensano a rappresaglie stanno compiendo un errore».

 


Le rappresaglie, in realtà, sono già pronte e Trump lo sa bene: su 180 prodotti, tra i quali molti simboli del "made in Usa" come le Harley Davidson e i jeans Levìs, dal 21 giugno scatteranno tariffe supplementari del 25%. E la minaccia del tycoon, secondo chi ha seguito il dossier, può essere letta solo in un senso: le tanto temute tariffe sulle auto. Che però andrebbero a tutelare i lavoratori americani, che il presidente Usa cita spesso quando parla di dazi, solo fino a una certo punto. Basti pensare che la Germania produce in Usa oltre 800mila auto l'anno, dando lavoro a oltre 100mila persone. Forse per questo Trump, come nel suo stile, dopo aver avvertito i partner ha anche lanciato una proposta di segno completamente opposto. «Il commercio dovrebbe essere libero da tariffe, barriere e sussidi», ma i dazi devono cadere «per tutti», ha detto. Un'amnistia generale da contrapporre a una guerra commerciale senza precedenti.

L'unica cosa certa di questo G7 era stata la volontà di raggiungere un compromesso almeno sulla dichiarazione finale. Il primo ad annunciarlo era stato proprio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: di «dazi, tariffe e barriere si è molto discusso al G7», ma «posso anticiparvi che abbiamo raggiunto un accordo e abbiamo tutti convenuto che il sistema del commercio internazionale basato sul Wto è un po' datato, richiede un adeguamento alle realtà sociali ed economiche». Il lavoro degli sherpa ora si concentrerà dunque per stabilire limiti e confini di questo adeguamento dell'organizzazione mondiale del commercio, davanti alla quale l'Ue ha appena denunciato Usa e Cina.

Nel comunicato congiunto firmato dai leader, poi bocciato da Trump, si legge: «Riconosciamo che il commercio e gli investimenti liberi, giusti e reciprocamente vantaggiosi mentre creano reciproci benefici, rappresentano il motore per creare crescita e lavoro. Sottolineiamo il ruolo cruciale di un sistema basato sulle regole internazionali del commercio e continuiamo a combattere il protezionismo». 

Ma un comunicato congiunto, anche prima dell'attacco di Trump, non poteva certo bastare ad arginare la profonda spaccatura che si è registrata a Charlevoix, anche sulla Russia, con Trump che anche oggi ha ribadito il desiderio (tra l'altro non corrisposto nemmeno da Mosca) di far rientrare Putin nel club dei Grandi. Insomma, quel 'G6+1' paventato il primo giorno se non si è materializzato nella dichiarazione finale, si è consumato nei fatti. Perfino nei dettagli. Il tycoon non solo se n'è andato prima ma è stato anche l'ultimo ad arrivare stamattina, saltando in pieno il discorso di Justin Trudeau e irritando non poco il padrone di casa, che ha annunciato di voler iniziare «senza aspettare i ritardatari»: la sedia vuota di Trump mentre si parlava di parità di genere è stata fotografata e irritualmente twittata dal canadese, evidentemente stufo degli sgarbi del tycoon.
 

Ultimo aggiornamento: 10 Giugno, 21:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA