Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Phoenix martella, ma il film non batte chiodo
Meglio Manuel e i cani di Wes Anderson

Venerdì 4 Maggio 2018

Ci sono film che si rivelano presto dei trappoloni. Ci sono registi che di questi trappoloni vivono sistematicamente. La britannica Lynne Ramsay è una di queste. Anni fa aveva colpito con “…e ora parliamo di Kevin”, storia atroce di un adolescente che compie una strage in famiglia e all’esterno, costruendo un puzzle volutamente depistante, chiedendo allo spettatore di partecipare alla ricostruzione complicata e disturbante di una madre che faticava a comprendere gli avvenimenti, in una sorta di narcisismo autoriale.
Ora con “A beautiful day” Lynne Ramsay si conferma. Qui la piccola figlia di un politico scompare. Un veterano di guerra, che ha passato ogni tragedia possibile, inizia a cercarla, ma l’esplosione di sangue e vendetta che si mette in moto non si placa facilmente. Ultimo film in Concorso al festival di Cannes dell’anno scorso, ha messo in mostra in modo forse ancora più evidente lo squilibrio tra il narrato, certamente non originale e non particolarmente interessante, e il suo modo di rappresentarlo, con soluzioni ardite, dove l’enfasi prende il sopravvento e ogni gesto viene brutalmente esasperato. Ne esce senza dubbio qualcosa di visivamente accattivante, ma non si va oltre, perché anche lo sconvolgimento temporale e la violenza sfoggiata quasi con un piacere dei particolari fanno il resto. C’è una sorta di sperpero in questo talento che vuole essere visibile, ossessionato e ossessionante, ma alla fin fine è un cinema presuntuoso come pochi.
Certo Joaquin Phoenix ha un ruolo fin troppo facile per le sue esibizioni squilibrate, ma nonostante questo la giuria cannense si è sentita in obbligo di premiarlo come miglior attore sulla Croisette, assegnando al film anche il riconoscimento alla sceneggiatura: troppa grazia, come spesso accade. Ma basterebbe tutto il finale a rendere vacuo questa specie di thriller martellante in tutti i sensi, ma che non riesce a battere un chiodo. Peggiora le cose l’idea della distribuzione di trasformare un titolo originale inglese (“You were never really here”), in un titolo “italiano” ancora in inglese, ovviamente banale e generico.
Stelle: 1½


MANUEL
- “Manuel”, titolo del film d’esordio del documentarista Dario Albertini, è un adolescente che all’età di 18 anni lascia l’istituto per minori dove è cresciuto, privo di sostegno familiare. Il suo desiderio è quello di tornare a vivere nella società e possibilmente dare la possibilità a sua madre, che sta in carcere, di avere i domiciliari, nel caso il ragazzo fosse in grado di garantire per lei, anche dal punto di vista economico, trovando un lavoro.
Un racconto di formazione che si snoda attraverso tappe abbastanza convenzionali, ma che vengono narrate con una sintesi non comune, sospese al momento giusto e capaci di saldare un’esperienza di vita disordinata e malinconica, con uno sguardo di commozione asciutta.
Un’opera prima di finzione che raccoglie l’esperienza di un regista capace di osservare la realtà con attenzione e rispetto, che paga solo un eccesso autoriale di poetica truffautiana, specie nel finale, con quello sguardo in macchina, che andava probabilmente evitato. Bravo il protagonista Andrea Lattanzi, che fa di Manuel una figura in cerca di un posto nel mondo, che sembra invece rifiutarlo. Distribuito dalla friulana Tucker, merita la visione. 
Stelle: 3


L'ISOLA DEI CANI
- Dalla metropoli di Megasaki, governata dal terribile sindaco Kobayaski vengono cacciati tutti i cani (non solo quelle randagi) con la scusa di essere portatori di una pandemia e confinati in un’isola spazzatura. È qui che il ragazzo Atari arriva in cerca del suo amico Spots. Il cinema geometrico e surreale di Wes Anderson incontra la grande tradizione giapponese da Kurosawa a Miyazaki, diventando ancora più politico rispetto al passato. Un film in stop motion, che mostra forse come il cinema di questo autore, così esteticamente ossessivo e ripetitivo, trovi in questo modo la sua espressività migliore.
Stelle: 3
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