Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Volti, villaggi e la poesia quotidiana di Varda
Oltre la notte, Akin non trova nuova luce

Venerdì 16 Marzo 2018


C’è una soavità, una leggerezza, un’intelligenza speciale in ogni fotogramma di “Visages Villages”, ultimo film di Agnès Varda, fantastica regista belga di nascita e parigina di esistenza, che ha attraversato il cinema dalla Nouvelle Vague a oggi con una libertà assoluta, filmando il mondo con occhi curiosi e cuore aperto, senza mai prevaricare storie e personaggi. Ora all’età di quasi 90 anni, assieme a JR, artista polivalente con la tecnica del collage fotografico, che di anni ne ha ben 55 di meno, attraversa la Francia, catturando nei borghi una spiritualità umana fatta di passioni, sacrifici, precarietà e fatica, in una sorta di poetica visione di un mondo “vero”, raccolto e raccontato attraverso i sentimenti più sinceri.
Un documentario che si snoda come una sorpresa a ogni curva del viaggio, abbellendo il proprio percorso zingaro con foto giganti, originali murales su case, luoghi di lavoro, perfino siti naturali, che rappresentano la vita del proprio popolo, tra immaginazione e ricordi, come quando si arriva davanti alla casa dell’amico Godard, incerti se aprirà o meno. Varda e JR si mettono in gioco dentro un cinema di una bellezza energica e vitale, mosso da una grazia artistica inusuale e commovente.
Stelle: 4


OLTRE LA NOTTE, IL BUIO DI AKIN - Nel quartiere turco di Amburgo un’esplosione uccide padre e figlio, lasciando sola Katja, che spera nella giustizia. Ma al processo contro due nazisti, accusati di essere i terroristi, Katja vede svanire molte speranze, anche per il fatto che il marito era stato in prigione per traffico di droga.
Fatih Akin, tedesco di Amburgo con genitori turchi emigrati in Germania, è uno di quei registi che hanno coltivato la propria immagine e fortuna ai festival, ottenendo spesso risultati superiori alle aspettative. Se nel 2004 a Berlino coglie l’Orso d’oro con “La sposa turca”, a tutt’oggi il suo film migliore, la lucidità nel raccontare spesso immigrazione e disagio, contraddizioni e finto ecumenismo prendono poi la strada di racconti più slabbrati, scivolosamente attratti dalla commedia a dal melò più sdrucciolo eppure premiato come accadde a Venezia con un generosissimo Gran Premio nel 2009 a “Soul Kitchen”, evitato almeno nel 2014 con l’imbarazzante “Il Padre”. Oggi Akin, con “Oltre la notte”, si conferma regista qualitativamente modesto, ma almeno pone dei quesiti non indifferenti sulle contraddizioni politiche di un’Europa incapace di cogliere da tempi i nuovi fermenti estremisti di destra.
Certo poi si ferma lì e il film ha momenti insostenibili: lo stile è quello di uno sceneggiatone, la regia non ha una scintilla estetica, il processo è un po’ troppo lungo e statico, senza che l’aula diventi un luogo simbolico di contrapposizioni ataviche, disperdendosi in chiacchiere inutili. Akin vorrebbe essere ruvido, ma il controllo delle emozioni è approssimativo: punta sui momenti più facili, mentre la soglia di pericolosità del neonazismo in Germania e soprattutto in tutta Europa avrebbe meritato sicuramente una lettura meno attratta dai colpi di scena.
Vero che Diane Kruger dà vita a un personaggio dolente, perduto e vendicativo non banale e questa miscela accattivante le è valsa il premio a Cannes come migliore attrice; ma la controversia che ha accesso il dibattito sulla scelta finale scruta comunque una messa in scena rozza e una lettura sul gesto che sembra accomunare tutti quanti sulla stessa sponda attrattiva del Male, perdendo forse anche l’inquietante dubbio su come si potrebbe reagire davanti a una tragedia personale così pazzesca. Akin non ha la forza di rappresentare questo dilemma come antagonismo di una società che non è sensibile al pericolo di un’ondata neonazista, ma si lascia piuttosto sedurre da una rappresentazione superficiale. In definitiva “Oltre la notte” sciupa anche il pregio di porre inquietanti interrogativi, rimanendo ancorato a un’idea di cinema che si dibatte tra finta autorialità e una predilezione per il “genere” più grossolano, che ama più l’effetto della causa.
Stelle: 2 ½
  Ultimo aggiornamento: 09:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA