Luciana Boccardi
MODI E MODA di
Luciana Boccardi

Gucci, Armani, "Dorian Gray", la
moda, noi e...il chiaro di luna

Sabato 3 Marzo 2018 di Luciana Boccardi
 “Parlate male di me ma parlate”:  l’aforisma  wildiano super abusato  nell’ “arte” della comunicazione del nostro tempo , passato attraverso le diverse connotazioni della volgarità della quale si compone,   è diventato  esortazione ineludibile, principio e obbiettivo di campagne di promozione riferite a qualsivoglia oggetto da “vendere”  facendo leva  - nel timore (o nella certezza!) che non si tratti di qualità così esplosive da bloccare l’interesse e l’attenzione dell’interlocutore  - sullo stupore di chi ascolta o guarda il sullodato.  Spesso, ma  sempre più spesso,  non si tratta di un oggetto ma della persona che si propone nelle fogge più stravaganti per accendere la curiosità altrui, per stupire, per sconcertare, meglio se per scandalizzare in modo che l’attenzione sia assicurata. Gli eccentrici  sono sempre esistiti ma la risposta del pubblico alle ostentazioni  in eccesso  sapeva valutare e dare l’importanza che meritava a una comunicazione che facesse  leva volgarmente -  in quanto furbescamente  - su  un trucco di trasmissione  per  garantirsi visibilità. Che questa sfociasse in approvazione o disapprovazione è diventato via via con il passare di questi  anni curiosi che vogliono allontanarci dalla “qualità” ,  sempre meno interessante.  L’obbiettivo ultimo, il fine di questo tipo di comunicazione  oggi molto spesso coincide  con il proposito di Dorian Gray  citato che trova nella moda il complice ideale, quando addirittura non diventa la didascalia di un messaggio di moda.
Non si sono sottratti neanche gli stilisti a questo imput :  si è parlato molto della collezione Gucci   per l’ambientazione osèe che lo stilista Alessandro Michele ha dato  facendo sfilare gli abiti in una immaginaria sala operatoria fino a mandare in passerella alcuni modelli di ispirazione genderless ( com’è  oggi  nel  glossario di questa griffe) con la propria testa riprodotta  al naturale assoluto dal laboratorio che produce  gli effetti  speciali per Cinecittà:   mozzata e portata sottobraccio. Riferimenti  facili all’Isis?  A una filosofia  d’accatto che riveli il disagio, o l’incertezza di identità che  in questo tempo  mina  la costruzione  di caratteri definiti ?  Denuncia “coraggiosa” di uno stato di malessere che la moda sente il dovere di comunicare?  Escamotage furbesco  alla Wilde per far parlare sicuramente di sé?
 Resterà negli appunti di chi commenta la moda  lo sguardo  basito  di Giorgio Armani  rivolto a questo giovane dissacratore, Alessandro Michele:   lui, Armani,  che ha tenuto  e tiene in pugno  la moda con fermezza e onestà stilistica, con il coraggio di chi sfida la comunicazione con la qualità , con il dono infinito dell’armonia che è la sostanza della bellezza, commenta la cosa  quasi più addolorato  che indignato. Lo show di Gucci ha fatto centro nel senso che si è assicurato  lo “stupore”:   c’è anche però lo stupore allarmato   di chi  nella spettacolarità estrema  di una  “disarmonia” calcolata, nello  stravolgimento di generi,  nel caos rappresentato   con  disinvoltura  dissacrante , legge  un dèjà  vu storico ,  la copia modesta dell’inno alla  dissacrazione globale che pervenne alla storia nel  Novecento con il movimento Futurista.  Il   para-revival  marinettiano  qual è stato la sfilata in  “sala operatoria”  di  Alessandro Michele,  si rivela  la brutta  copia  di esternazioni   datate  un secolo fa negli anni del  caos che precedettero indirizzi  funesti  per  l’Italia: …”vogliamo cantare la temerità, l’audacia, la ribellione, il movimento aggressivo, il passo di corsa, l’insonnia febbrile, il salto mortale, lo schiaffo, il pugno…uccidiamo il chiaro di luna”.    Ultimo aggiornamento: 01:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA