Rapine, spaccio e falsi jihadisti. I residenti: «Sembra Macerata»

Mercoledì 14 Febbraio 2018 di Lorenzo De Cicco
Rapine, spaccio e falsi jihadisti. I residenti: «Sembra Macerata»
«Immagini la scena: mollano le valigie in mezzo al corridoio dell’ostello e scappano via gridando “Allah Akbar”, cosa potevamo pensare? Terrore puro...», ci dice Benedetta Cattuzzo, 34 anni, direttore dell’ostello “Generator”, crocevia di studenti e turisti da mezzo mondo a duecento metri da piazza Vittorio. Oggi, di quell’episodio di qualche settimana fa, Benedetta riesce perfino a riderci su, ma la verità è che l’impasto marcio di spaccio, ricettazione, scippi e microcriminalità varia è tale, in questo fazzoletto di Roma che parte dalla grande stazione Termini e si allunga fino ai Fori, che perfino la stizza di due bengalesi che avrebbero solo voluto mettere al sicuro per la notte i loro bagagli carichi di paccottiglia da smerciare l’indomani può essere scambiata per terrorismo. Psicosi? «Paura, per quello che siamo costretti a vedere ogni giorno - dice Benedetta - I poliziotti ci hanno spiegato che quella di Allah Akbar è un’esclamazione molto comune tra i musulmani. Alla fine si è scoperto che quei due se l’erano filata solo perché non volevano mostrarci i documenti, tutto qui. Ma in questo clima, chi non si sarebbe impaurito?».

L’ALTRO AGGUATO
Difficile darle torto, se da queste parti, sotto i portici ottocenteschi disegnati da Gaetano Koch e tutt’intorno, tra i palazzi costruiti per ospitare la borghesia impiegatizia del Regno che ora accolgono jeanserie cinesi e minimarket pakistani, ogni giorno ne succede una. «Venerdì una ragazza è stata aggredita mentre attraversava il giardino», rivela Nana, 70 anni, la storica fioraia di piazza Vittorio («la mia famiglia è qui da 5 generazioni»). Era una studentessa straniera, dice, 20 anni o poco più. Aggredita da tre ragazzi africani. «Urlava e piangeva. E per fortuna che strillava, altrimenti quelli non l’avrebbero lasciata stare. Per liberarla abbiamo dovuto far riaprire i cancelli del parco».

«Domenica ho fatto arrestare quattro spacciatori proprio sotto casa di Sorrentino», racconta il farmacista Giuseppe Longo, 53 anni, proprietario di uno dei pochi negozi italiani rimasti sulla piazza (si contano sulle dita di una mano). «Non sono razzista», premette, e punta l’indice sull’insegna con le scritte in arabo e cinese. «Ma con questo andirivieni la convivenza è difficile, rischiamo l’effetto Macerata». Il tour delle ferite dell’Esquilino impiega pochi minuti: «Questo in bici è un tunisino che vende l’eroina», dice a mezza bocca Longo. In testa sembra avere l’identikit di praticamente chiunque gli passi davanti. «Quelli lì all’angolo? Marijuana. Questi altri sono ricettatori», spiffera mentre un gruppo di nordafricani srotola lenzuoli carichi di borse, scarpe e radioline in via Principe Amedeo, appena le autopattuglie hanno svoltato l’angolo. «Questi - dice - li conosco tutti, almeno 60 li ho fatti arrestare, il problema è che poi te li ritrovi qui dopo due giorni. Per un anno ho pagato un ragazzo solo per tenerli alla larga. Un buttafuori, per una farmacia, immagini...». Il fatto, dice, è che di vigili non se ne vede l’ombra.

Proprio accanto ai cancelli del giardino, c’è la torretta blindata riservata ai pizzardoni, ma è arrugginita e scribacchiata dalle bombolette dei writer. È lì da dieci anni, non ci ha mai messo piede nessuno. Maria Rosaria Fiorentino, 56 anni, titolare del caffè all’angolo con via Carlo Alberto, ha in faccia lo sconforto di chi non si stupisce più di nulla. «Si, ho saputo dello stupro... Tre settimane fa ho visto in diretta, diciamo, una signora a cui hanno strappato la collanina mentre scendeva nella metropolitana. A me hanno provato a sfilare il cellulare, me ne sono accorta mentre questo ragazzino, un rom, aveva la mano infilata nella giacca». Adriana Trani, 70 anni, da 40 è dietro al bancone del bar di via Emanuele Filiberto. «Ogni tanto - racconta - spaccano i vetri delle macchine per rubare qualcosa, altre volte gli ubriachi si tirano le bottiglie di vetro, per litigare. Ma sono cose normali, o no?». Gli unici che non sembrano lamentarsi sono i cinesi, che qui gestiscono un po’ di tutto. Ristoranti, bar, negozi di vestiti. Anche i residenti storici hanno imparato ad apprezzarli. Perfino chi dieci anni fa sfilava in piazza contro la «Chinatown» dell’Esquilino, oggi sembra avere cambiato idea: «Loro non hanno mai creato problemi». 
 
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