Lo strappo di Alfano: «Levo alibi a chi insulta». Lorenzin in pole per la successione

Giovedì 7 Dicembre 2017 di Alberto Gentili
Alfano
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L'ultima telefonata, prima di chiudersi nel salotto di Porta a Porta e dare l'annuncio, Angelino Alfano l'ha fatta a Paolo Gentiloni: «Ho deciso di non ricandidarmi, lascio il Parlamento. Farò politica fuori dal palazzo». Il premier, agganciato il telefono, ha confidato ai suoi: «E' una decisione presa con il cuore. Angelino merita il massimo rispetto, continueremo a lavorare insieme fino al termine della legislatura».

Il passo indietro del ministro degli Esteri e leader di Alternativa popolare (Ap) ha colto tutti di sorpresa. Perfino Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi non sapevano che Alfano meditasse lo strappo. Tant'è che appena le agenzie hanno battuto la notizia, è scattata la convocazione della segreteria nella sede del Governo Vecchio.
Lì, davanti agli amici di partito sotto choc, il ministro (che conserverà la presidenza di Ap) ha raccontato la sua amarezza: «Sono stanco di essere il bersaglio di tutti e di tutto». Stanco dell'aut aut di Giuliano Pisapia («o lui o me nell'alleanza») che, ironia del destino, proprio nello stesso momento ha annunciato il ritiro. Stufo di «essere chiamato traditore», degli attacchi di Salvini, delle diffidenze di Berlusconi. «Non è possibile che tutto ciò che ho fatto e abbiamo fatto insieme, strappando il Paese dalla crisi economica accettando di farci carico dell'onere del governo anche per fermare i populisti», ha spiegato, «debba essere sempre ricondotto al poltronismo e all'opportunismo. Basta. Ho deciso di dare un taglio e dunque non mi ricandido. Tolgo così l'alibi a chi mi insulta e vi insulta ingiustamente».

La Lorenzin si è detta «estremamente dispiaciuta»: «Sappiamo bene quanto sia stato difficile il tuo lavoro in questi anni». Fabrizio Cicchitto ha parlato di «atto straordinario», di «una risposta bruciante a tutti coloro che ti hanno attaccato».

Poi, però, al Governo Vecchio è stato servito l'antipasto della resa dei conti che verrà celebrata lunedì all'hotel Flora, quando Ap dovrà decidere se correre da sola, tornare verso Forza Italia o stringere l'alleanza con il Pd.
Molti, da Cicchitto a Bianconi, da Chiavaroli a Viceconte, hanno spinto perché scatti l'alleanza con Renzi. E hanno proposto la Lorenzin come candidata premier di Ap. Ma la ministra della Salute ha frenato. Ha detto di pretendere l'unità del partito su questa opzione.

LA SCELTA DELLE ALLEANZE
Il rischio-deflagrazione è alto. Concreto. Lupi si è detto convinto che «Ap possa aggregare». Ha fatto riferimento al movimento di Stefano Parisi. In realtà, molti scommettono che l'approdo possa essere Forza Italia. E Berlusconi, che ha definito «apprezzabile» la decisione di Alfano, ha già lanciato l'amo: «Le porte sono aperte».

Avance e litigi a parte, in famiglia Alfano all'annuncio hanno festeggiato. «Mia moglie è entusiasta delle decisione», ha confidato il ministro, deciso a riprendersi «un pezzo della mia vita fuori dal palazzo». Scelta dolorosa e difficile, perché la politica è stata la sua vita. A vent'anni è tra i giovani democristiani di Agrigento, sua città natale. A ventiquattro, affascinato da Berlusconi e dal progetto per un'Italia liberale, passa con Forza Italia. Nel 2001 sbarca a Montecitorio e in poco tempo entra nella cerchia ristretta del Cavaliere. Poco più che trentenne gli viene appiccicata addosso la qualifica di delfino e nel 2008 diventa ministro della Giustizia. E' suo il famoso lodo che sospendeva i processi per la durata del mandato al premier e ai presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera.

Nel 2011 il grande salto: segretario del Popolo delle libertà. Poi l'ingresso (da ministro degli Interni) nella larga coalizione guidata da Enrico Letta. E, due anni più tardi, la scissione dal Pdl con la nascita del Nuovo centrodestra per tenere in piedi il governo dopo lo strappo di Berlusconi. Una scelta che Alfano ha difeso anche ieri annunciando l'addio al Parlamento: «Non mi ricandido per dimostrare che tutto quello che io e i tanti amici che mi hanno seguito in questi anni abbiamo fatto, è stato solo dettato da una sincera e fortissima convinzione di aiutare il Paese». Sulla decisione ha pesato anche l'amarezza per ciò che è successo in Sicilia: «Angelino ha sofferto per i voltafaccia nell'Isola», racconta un suo amico, «con dieci consiglieri regionali su quattordici passati sul fronte della destra. Ecco, annunciando che non si ricandida, ha voluto dare uno schiaffo anche a questi opportunisti».
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