La disfatta della Nazionale non è una tragedia ma la delusione e la rabbia meritano rispetto

Giovedì 16 Novembre 2017
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Caro direttore,
non i crack bancari, non i tagli all'assistenza che anche la prossima finanziaria elargirà con dovizia, non il precariato né la disoccupazione in costante crescita. No, quello che dopo lunedì ha sconvolto la nazione facendo precipitare il Pil e la fiducia nel futuro è una sfera di circa 70 cm, pesante sui 4 etti e mezzo, fatta di pannelli termosaldati, rincorsa e scalciata da 2 decine di giovinotti prestanti, in un rettangolo d'erba per circa 1 ora e mezza abbondante. Uno sconvolgimento dettato dallo spettacolo offerto dagli 11 con casacca azzurra, davvero avvilente se si pensa che i ragazzi guadagnano sui 1.500 euro al minuto, importo che milioni di italiani si augurerebbero di cuore di avere, almeno, al mese. Già si sono quantificate le perdite che questa palla svogliata ed inconcludente, visto che rimbalzava dappertutto tranne che in porta dove invece avrebbe dovuto infilarsi a più riprese, ci sta causando, dai televisori invenduti alle ferie da riprogrammare, dalle consumazioni al bar ai vuoti estivi da colmare, chissà con cosa. Una tragedia, questa mancata qualificazione ai mondiali di calcio, a sentire intellettuali, manager, economisti ed esperti di sfere di cuoio d'ogni ordine e grado. Oppure, come la vedo io, una palla, un'enorme palla, in tutti i sensi.

Vittore Trabucco
Treviso



Caro lettore,
già Winston Churchill ci ammoniva ricordando che noi italiani «perdiamo le partite di calcio come se fossero guerre e perdiamo le guerre come fossero partite di calcio». Dunque lo sappiamo: pur con qualche differenza geografica, siamo un popolo che va facilmente sopra le righe, a maggior ragione quando si parla del Dio pallone. L'esclusione dai Campionati del mondo della nostra Nazionale non è una tragedia né la fine del mondo. L'Italia, intesa come Paese non come squadra, ha ben altre emergenze con cui fare quotidianamente i conti. Tutto vero. Ma la vita non è fatta solo di numeri, di problemi, di angosce. Ci sono anche le passioni. Ridicolizzare o persino disprezzare, con toni inutilmente snob, la delusione, lo scoramento anche la rabbia di tanti italiani per la miserevole disfatta dei pedatori azzurri è un esercizio gratuito. E sbagliato. Perché le passioni meritano rispetto. Anche quando non le viviamo e non ci appartengono.
Ultimo aggiornamento: 12:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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