MODI E MODA di
Luciana Boccardi
L'alta moda italiana va in Cina. La
Biennale del lusso chiude in positivo
Domenica 5 Novembre 2017
di Luciana Boccardi
C’è fermento a Milano, in via Montenapoleone, al primo piano dell’edificio che ospita la nuova sede di Raffaella Curiel. Nell’atelier della stilista d’alta moda piovono già le chiamate per prenotare l’”abito per la Scala” che a Milano accende di interrogativi le signore abituate ancora a “vestirsi”, soprattutto a farsi vestire dalla signora dell’alta moda italiana (che oggi italiana non è più, passata armi e bagagli alla Cina che ha acquisito il marchio portandolo a livelli di primato assoluto nel mercato cinese dove è presente con un numero di negozi che va moltiplicandosi tra Pechino, Shanghai, varie città dell’”impero giallo”). In ogni caso Raffaella Curiel continua a disegnare e creare gli abiti che un background indistruttibile le fa pensare da sempre per l’eleganza milanese, italiana, “che oggi – afferma la stilista – non ha né frontiere nè appartenenze. La bellezza si è globalizzata ed è quella che noi a Milano, a Roma, Parigi, Londra, New York, Pechino, inseguiamo senza etichette di nazionalità”.
Abiti d’alta moda di grande caratura stilistica, importanti, preziosi, ma anche “a dimensione umana” più ravvicinati, ricchi senza opulenza, stanno per essere impacchettati e spediti a Shanghai, dove lo staff dirigente di Curiel, sotto la guida di Raffaella e della figlia, Gil, è diretto per la presentazione della collezione in Cina. C’è voglia di lusso, di effetti speciali, di ricchezza da tradurre in eleganza, cosa non facile che gli stilisti tutti stanno cercando di mettere in atto da tempo. Il bisogno di lusso troppe volte si riscontra in richiesta di ricchezza tout court. Serve una educazione che non si impara a scuola né si può comprare: il lusso punta proprio su questo fattore impercettibile ma importantissimo. Così come un oggetto, un vestito, una persona , possono essere belli e insieme non eleganti, lo stesso vale per il lusso che non va mai confuso con la ricchezza anche se di questa è elemento inseparabile.
A Venezia, per la Biennale d’Arte 2017 che sta per concludersi a giorni , si è pensato a un intero padiglione dedicato al lusso (Luxury) dove sono confluite le grandi firme locali e internazionali insieme. Vi troviamo un percorso di profumi che con la firma di MAVIVE evocano “Il mercante di Venezia”; per le calzature, Renè Caovilla - tra gli altri - presenta un tempo di preparazione che identifica il vero lusso con la qualità di un lavoro tutto manuale: materiali di altissima qualità, talento stilistico, l’eleganza nel DNA , fusi insieme. Per i tessuti , il padiglione ospita - in cadute dal soffitto elaborate per la Mostra - le stoffe preziosissime di Rubelli, di Bevilacqua, con lampassi , damaschi, broccati. Impossibile raccontare una esposizione che in formato micro vuole affrontare semanticamente il messaggio di lusso affidato a qualità più che agli effetti.
Ciò che ci lascia in eredità il “Luxury” della Biennale in chiusura di rassegna, è la conferma che l’ emulazione dei potenti – perché questo è l’obbiettivo originario e ideale del lusso – è sempre un prodotto di selezione e non di “accumulazione” (il tanto-tanto, il di più, di più ); è una dimensione lontana dalla “visibilità” che si intercetta nell’understatement e non nell’ostentazione esibita, nell’inimitabilità dettata dal gusto e non nell’infinita possibilità di imitazione che si può raggiungere con i soldi che permettono di comprare e vendere, ma non di “essere”.
Ultimo aggiornamento: 02:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA