Sul fumo serve una tassazione equilibrata

Giovedì 18 Maggio 2017 di Marco Spallone* e Alessandro Pandimiglio**
rivendita tabacchi
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Nell’articolo apparso su questo quotidiano on line il 14 maggio 2017 il Dott. Palumbo ha fornito una corretta spiegazione dei meccanismi che regolano la fiscalità sulle sigarette in Italia. Tuttavia, viste le conseguenze di natura politica che scaturiscono dall’articolo, alcune puntualizzazioni sembrano utili e necessarie. Tali puntualizzazioni riguardano sia l’evoluzione recente del mercato sia la sua sostenibilità economica di medio e lungo periodo alla luce delle proposte contenute nella manovra fiscale attualmente in discussione. È proprio la sostenibilità, infatti, l’unica condizione in grado di garantire la continuità di gettito.

Per fare chiarezza sull’evoluzione recente della tassazione, vale la pena sottolineare che l’intervento sull’onere fiscale minimo (aumentato da 170€/Kg a 170,54€/Kg all’inizio del 2016) non poteva che essere “unico”. Nel 2015 il prezzo medio ponderato di un pacchetto da 20 sigarette (che costituisce il riferimento per il calcolo delle diverse componenti della tassazione sulle sigarette), è cresciuto da 4,52€ a 4,66€, determinando un incremento della componente specifica della tassazione di 0,54€/Kg. Coerentemente, l’onere fiscale minimo, che rappresenta la tassazione totale e completamente specifica sulle sigarette vendute ad un prezzo inferiore ai 4,40€ a pacchetto, è stato incrementato di 0,54€/Kg per evitare distorsioni competitive. Nel 2016, il prezzo medio ponderato è cresciuto ancora, arrivando a 4,76€ e determinando un incremento della specifica pari a circa 0,38€/Kg. Solo all’inizio del 2017, quindi, è diventato plausibile ed auspicabile un nuovo intervento sull’onere fiscale minimo per ristabilire l’equilibrio iniziale: tuttavia, invece di un aumento da 170,54€/Kg a 170,92€/Kg (+0,38€/Kg), quello proposto porterebbe l’onere fiscale minimo addirittura a 175€/Kg.

Prima di analizzare le motivazioni di un intervento così dirompente e di valutarne gli effetti attesi, va detto che è fuorviante affermare che “l’onere fiscale complessivo risulta di importo superiore e crescente al crescere del prezzo di vendita”: la tassazione sui tabacchi è regressiva, proprio a causa della componente specifica, e i margini dei produttori risultano di conseguenza molto più ampi sulle sigarette di prezzo alto. Nel 2016, per esempio, il margine su un pacchetto di sigarette venduto a 4,40€ era di circa 0,55€ e saliva addirittura a 0,78€ su un pacchetto venduto a 5,40€. Inoltre, va sempre tenuto presente che la scelta del prezzo di vendita da parte dei produttori è libera e riflette scelte di posizionamento sul mercato e di valorizzazione del marchio quasi del tutto indipendenti da eventuali differenziali tra i costi di produzione: se fosse conveniente pagare l’onere fiscale minimo, tutti i produttori venderebbero sigarette ad un prezzo inferiore a 4,40€ a pacchetto.

In ogni caso, sembra trasparire dall’articolo del Dott. Palumbo che ci siano molte motivazioni valide per un intervento massiccio sull’onere fiscale minimo. La prima è di natura fiscale: si assume che una tale manovra potrebbe portare un aumento del gettito di 65 milioni su base annua. Il calcolo è corretto se si ragiona a domanda costante e si assume che eventuali aumenti di prezzo non si riflettano in una contrazione della domanda, ipotesi poco plausibile viste le consolidate tendenze di lungo periodo, i dati sui primi mesi del 2017 e la crescente diffusione di prodotti alternativi (che rende la domanda di sigarette sempre più elastica).

La seconda riguarda il pericolo di un abbassamento dei prezzi medi di vendita che, in un sistema prevalentemente ad valorem, potrebbe indurre una contrazione del gettito a parità di quantità vendute. L’analisi dell’andamento dei prezzi medi dal 2015 ad oggi smonta questa preoccupazione: nei due anni di applicazione della riforma il prezzo medio ponderato è cresciuto di più del 5%. In un periodo caratterizzato dall’assenza di inflazione, ulteriori e sostenuti aumenti di prezzo renderebbero le sigarette meno accessibili per le fasce più povere della popolazione, innescando il pericolo di migrazione verso i prodotti di contrabbando (la cui domanda è determinata principalmente dai differenziali di prezzo), con conseguenze sulla salute pubblica non certo desiderabili.

La terza è di natura concorrenziale. Addirittura si paventa la possibilità di impugnare a livello comunitario i meccanismi automatici di adeguamento della tassazione, che incidono apparentemente solo sulle sigarette di prezzo più alto. Detto che è assolutamente condivisibile immaginare adeguamenti equilibrati dell’onere fiscale minimo per mantenere inalterata la regressività della tassazione, l’argomento dal punto di vista economico è bizzarro: mentre non è vietato abbassare i prezzi qualora lo si ritenga conveniente per motivi fiscali (va ribadito che i prezzi si fissano liberamente), non è certo possibile sottrarsi all’onere fiscale minimo se si decide di vendere a prezzi bassi. Quindi, il problema concorrenziale sollevato è logicamente capovolto. Inoltre, guardando al caso italiano, non si può non tenere presente il fatto che il produttore che vende sigarette a prezzi alti è anche quello che da decenni occupa una posizione dominante.

Sembra d’altra parte molto lucida la considerazione del Dott. Palumbo circa la necessità di prevedere un aumento automatico dell'onere fiscale minimo come conseguenza dell’aumento del prezzo medio ponderato. Le motivazioni per una tale previsione risiedono sia nella necessità di rimuovere l’incertezza che ha caratterizzato il mercato negli ultimi anni sia per ridurre la discrezionalità delle istituzioni preposte alla regolamentazione, che si vedrebbero così sottratte alle inevitabili pressioni che subiscono quando sono chiamate a prendere decisioni rilevanti per la filiera del tabacco e per il Governo.

La discussione quindi andrebbe spostata sulla tipologia di meccanismo automatico da implementare. Certo, immaginare di mantenere il rapporto tra onere fiscale minimo e tassazione sul prezzo medio ponderato al 98% è pericoloso: quel rapporto rappresentava solo un punto di partenza, la fotografia di una situazione alterata dal tentativo fallito (quello sì bocciato a livello Europeo) di introdurre una tassazione discriminatoria per i prodotti di prezzo basso. Molto più sensato sarebbe un meccanismo coerente con le decisioni prese nel 2016 (in grado di riequilibrare il livello della tassazione dopo l’applicazione degli aumenti automatici), anche rafforzato da un incremento graduale della specifica: in altre parole, si potrebbe decidere di anno in anno di incrementare l’onere fiscale minimo per compensare gli aumenti automatici e di innalzare la componente specifica di una percentuale pari al tasso di inflazione.

Una tale soluzione (ovviamente discutibile nei dettagli) garantirebbe da una parte l’equilibrio concorrenziale e dall’altra consentirebbe una migrazione graduale verso una tassazione più specifica. Un passaggio drastico, come quello proposto in manovra, stravolgerebbe il sistema, altererebbe gli equilibri competitivi e non risolverebbe i problemi di fondo. Dal punto di vista fiscale, inoltre, le maggiori entrate attese potrebbero rivelarsi pura utopia.

*Vicedirettore del Centro Studi Casmef-Luiss
**Professore associato presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara
Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 17:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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