Pd, Bersani a Renzi: fermati, prima il Paese poi il partito

Giovedì 16 Febbraio 2017
Pd, Bersani a Renzi: fermati, prima il Paese poi il partito
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«Prima il paese, poi il partito, poi le esigenze di ciascuno. Questo criterio, per me e per tanti, e spero per tutti noi, è la base stessa della politica. Se noi non teniamo ferma questa sequenza, non siamo più il Pd. Mi sono dunque rivolto e mi rivolgo a tutti quelli che hanno buon senso. Al segretario e a tutti coloro che lo hanno sostenuto dico: non date seguito alle infauste conclusioni dell'ultima direzione. Fermatevi». È l'appello lanciato da Pier Luigi Bersani sull'Huffington Post ribadendo la sua road map. 

«Se consentissimo l'ordinario svolgimento delle cose - sostiene Bersani - non mancherebbe la possibilità di questa radicale e ineludibile discussione. Abbiamo una maggioranza e un governo che possono e devono operare fino al 2018, col tempo dunque di correggere le cose che non hanno funzionato. La data ordinaria e statutaria del Congresso (da giugno all'autunno) può consentire un percorso che si avvii con una discussione comune che ridefinisca il perimetro e i muri della nostra casa, i cardini essenziali della nostra proposta prima di passare alla sfida tra i candidati. Serve dunque, prima del vero e proprio confronto congressuale, una riflessione fondativa che definisca il profilo del Pd di fronte alle sfide nuove, un passaggio da costruire con un lavoro unitario. Potremmo peraltro avere alle spalle la cognizione del quadro di regole elettorali nel quale inserire la proposta politica. Questo percorso semplice, logico e utile al paese, viene inopinatamente e incomprensibilmente stravolto».

L'ex segretario invita a non scherzare sulle motivazioni della rottura nel Pd: «Questione di calendari e di date? Questioni di lana caprina, bizantinismi? Non scherziamo, e cerchiamo di capire meglio. Le questioni vere sono due». «Prima questione: - sostiene Bersani - nel mondo, in Europa e in Italia, col ripiegamento della globalizzazione, emerge una nuova destra non liberista, ma sovranista, identitaria e protezionista. Le disuguaglianze, l'umiliazione e lo smarrimento del lavoro, l'emigrazione alimentano culture di chiusura e aggressive. È in corso dunque una possibile regressione che può coinvolgere anche una parte dei nostri mondi. Come possiamo reagire? Possiamo andare avanti sostanzialmente col pilota automatico delle proposte di vent'anni fa, che allora erano vincenti perché incrociavano la realtà, ma che oggi sono largamente superate? Dobbiamo prendere atto che si sta chiudendo una fase ventennale. Dobbiamo discutere davvero, come forse mai in nessun altro Congresso. Non è vero che non ci sono idee. È vero invece che non c'è un posto impegnativo per discuterne. Una discussione sincera può essere la nostra occasione. Forse l'ultima».

La seconda questione è che «il Pd in questi anni ha smarrito buona parte del suo progetto originario, che era fondato su un'ispirazione ulivista e popolare, un'impostazione saldamente costituzionale e democratica e fortemente pluralista. Quest'idea si è via via rinsecchita, come se il campo largo del centrosinistra si riassumesse nel Pd e il Pd si riassumesse nel suo capo. Abbiamo perso rapporti con pezzi di popolo su questioni cruciali come il lavoro, la scuola, le politiche economiche e fiscali. Siamo guardati con ostilità da una parte larga della nuova generazione. Le ripetute sconfitte degli ultimi due anni e l'allontanamento evidente di iscritti e di elettori sono stati totalmente ignorati ed è stata zittita ogni richiesta di discussione vera. Dunque ognuno deve riconoscere che c'è parecchio da correggere nell'azione di governo e nella vita del partito. E c'è assoluta urgenza di farlo. Il Pd non può essere collocato nell'establishment ma la sua forza la deve trovare in chi si sente escluso e non si piega alle nuove demagogie».

Con la road map decisa dalla direzione, con un congresso a partire dall'assemblea di domenica, «viene messa una spada di Damocle sul nostro stesso governo, si trasforma il percorso congressuale in una immediata e rapida conta, cancellando così ogni ipotesi di riflessione strategica e bruciando l'unica possibilità di una correzione di rotta. Nel pieno fra l'altro di una discussione parlamentare sulla legge elettorale che in queste condizioni rischia il binario morto e nell'incombenza di rilevantissime elezioni amministrative», continua Bersani, che insiste su un timing che vede il congresso nei tempi regolamentari da giugno ad ottobre. «Qual è la ragione di questo stravolgimento? Esiste una motivazione comprensibile e pronunciabile? No. I commentatori infatti attribuiscono quanto accade alla intenzione del segretario di "non farsi logorare". Non c'entrano nulla "l'astio o il rancore verso Renzi". Stravolgeremo dunque tutto il percorso per le esigenze o le velleità di una persona sola? No».


 
Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 07:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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