«Ho evaso per salvare l'azienda». Imprenditore assolto

Mercoledì 30 Novembre 2016 di Cristina Antonutti
«Ho evaso per salvare l'azienda». Imprenditore assolto
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Tradito dalle banche, pressato dai fornitori e in testa uno solo pensiero: «Tenere duro per l’azienda e le famiglie degli operai». Diego Lorenzon, 53 anni, residente a Cordovado, a capo della Poolmeccanica di San Michele al Tagliamento, nonchè ex vicepresidente dell’Unione industriali di Venezia, c’è l’ha fatta a traghettare la società in acque tranquille, ma ha dovuto far fronte ad alcuni strascichi giudiziari che lo hanno portato a difendersi dall’accusa di omesso versamento di ritenute certificate: Irpef 2012.
Ieri è arrivato a Pordenone con il suo avvocato, Giovanni Moschetti, assistito da Paolo Dell’Agnolo. L’orientamento era quello di rinviare il processo a gennaio, perchè sulla questione ci sono nuovi pronunciamenti e il giudice voleva studiarseli meglio. Tutti d’accordo. Ma Lorenzon, che per problemi di salute temeva di non poter partecipare all’udienza del prossimo anno, ha chiesto di rilasciare spontanee dichiarazioni. Quando ha cominciato parlare, si è capito che stava consegnando il suo testamento morale al giudice Rodolfo Piccin. In aula soltanto le sue parole, occhi lucidi e gole strozzate dalla commozione.
«La mia azienda ha una storia di 400 anni - ha spiegato l’imprenditore - In una situazione di crisi senza precedenti anche noi, piccola azienda meltalmeccanica, ci siamo ritrovati in questa centrifuga. Nel 2008 sette banche su otto ci hanno abbandonati dalla sera al mattino. Tranne la Bcc di Fossalta». Aveva esposizioni con istituti di credito, dipendenti e fornitori. «Le banche ci hanno chiesto di rientrare, ci siamo ritrovati con i fidi azzerati e a pagare la materia prima in contanti». In quel periodo sono arrivati i primi decreti ingiuntivi. L’effetto? Saltate le commesse. «Che cosa dovevamo fare in queste condizioni disperate? - ha proseguito Lorenzon, che in quel periodo non riusciva a incassare 400 mila euro dagli enti pubblici - Ho sempre pagato tutto, ma a quel punto ho chiesto allo Stato di rateizzare perchè dovevo pagare gli operai». Ha cercato di apportare liquidi in azienda. «Siamo tre fratelli: non abbiamo nè panfili nè case a Cortina. Tutto viene reinvestito in azienda. Abbiamo venduto piccole collezioni storiche, chiesto aiuto ad amici e parenti, incassato le polizze vita e pensionistiche per mettere tutti i soldi in azienda».
Adesso sta andando bene (50 addetti) e ci sono buone prospettive per il futuro. «Più di qualcuno mi disse di portare i libri in Tribunale, ma ho pensato di tener duro - ha continuato Lorenzon - Sono prevalsi concetti di etica e morale che per una famiglia e un’azienda sono fondamentali. Ho la consapevolezza che dal prossimo anno questo mondo di cristallo potrebbe frantumarsi, ma noi abbiamo investito in innovazione, formazione e internazionalizzazione». Avrebbe potuto trasferire la produzione altrove, ma ha deciso di restare a San Michele al Tagliamento perchè ha «sempre creduto in questo Paese».
Ha ricordato l’angoscia dei giorni della crisi. «Dal 2009 al 2012 non ho mai dormito una notte intera per la pressione e la frustrazione. Mi chiedevo se andavo nella direzione giusta, adesso le banche stanno chiudendo, noi no». Ha raccontato di quando concordava con gli avvocati dei fornitori un piano di rientro e l’indomani arrivavano i decreti ingiuntivi. «Ho pagato in 10 anni 6,8 milioni di tasse e il 30% di sanzioni per i ritardi, penso di essere stato sufficientemente punito per questa mia strategia». In quei mesi terribili arrivò anche la Guardia di finanza: restò in azienda due mesi, non trovò nulla di anomalo. «Mi chiedo ancora se ho veramente fatto tutto quello che dovevo, come un padre di famiglia. Chiedo solo un po’ di pace e serenità per concentrarmi nella mia azienda e vi ringrazio dei minuti che mi avete regalato».
Tutti si aspettavano che il giudice fissasse la data del rinvio. No. Al cancelliere ha fatto verbalizzare che, alla luce delle dichiarazioni rese e della necessità di definire il processo in tempi utili alle cure dell’imputato, il giudice chiude l’istruttoria e invita le parti a concludere. Ha concesso tre minuti al pm e sei al difensore. «Cosa si può chiedere di più a questa persona?», ha detto il vpo Beatrice Toffolon chiedendo l’assoluzione perchè il fatto non sussiste. Il giudice non ha avuto bisogno di camere di consiglio. Dopo le dichiarazioni dell’imprenditore era chiaro che non c’era dolo in quel mancato versamento di ritenute: 263 mila euro (fino a 150 mila non è reato). L’assoluzione è arrivata perché il fatto non costituisce reato. E in aula è scoppiato un applauso.
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Ultimo aggiornamento: 1 Dicembre, 11:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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