Senza governo/L'anno orribile di Roma

Giovedì 8 Settembre 2016 di Virman Cusenza
Cominciamo dalla fine: e Roma? È in balia di se stessa da oltre un anno (orribile). L’agonia culminò nel settembre scorso con lo scandalo note spese che travolse il sindaco Marino dopo mesi di forte turbolenza politica. Poi seguì il commissariamento: sette mesi in cui i mali Capitali sono stati sfiorati, senza soluzione. Quindi a giugno, dopo una brutta (non solo esteticamente) campagna elettorale è stata eletta sindaco Virginia Raggi che con fatica e qualche ritardo ha messo insieme la sua giunta. Da allora sono passati settanta giorni e atti di governo se ne sono visti pochini per usare un eufemismo.

Oggi, interpretando il vasto sentimento popolare, la sensazione diffusa è l’assenza di governo della città. A cominciare da quella gestione ordinaria sbandierata come priorità. Nel frattempo assistiamo ad una faida che squassa nelle sue viscere la giunta e il movimento che la sostiene.
La buona amministrazione, come ogni buon governo, si nutre di trasparenza che ovviamente è innanzi tutto politica e formale e quindi sostanziale quando si traduce in atti deliberati e messi in opera. Ebbene, proprio questo sacrosanto caposaldo della cultura cinquestelle ha vacillato su più fronti: dalle nomine dello staff, alla vicenda occultata dalla Raggi dell’assessore Muraro indagata eppure ancora inspiegabilmente al suo posto (stando proprio ai codici grillini), per finire con discutibili reclutamenti negli studi di noti avvocati anziché con meccanismi trasparenti e sani per una politica che si nutra di apporti esterni della società civile.

Per di più, le convulsioni politiche si sono rivelate non esterne ma tutte interne alla giunta e al movimento. Ad ostacolare la marcia liberatoria dei vincitori delle elezioni dunque non ci sono forze oscure né avversari in agguato pronti a colpire da postazioni nascoste. I nemici hanno ben presto assunto il volto e i nomi di alcuni stessi componenti della giunta e dello staff o di noti parlamentari appartenenti a correnti contrapposte: da qui la faida. Si può dire di più: proprio mentre il Campidoglio veniva vissuto dai protagonisti come un fortino blindato e assediato da un nemico che non c’è, dall’altra parte degli spalti è rimasto consistente il numero dei romani (anche quelli che la Raggi non l’hanno votata) che nutrono aspettative non faziose, anzi che fanno il tifo per la buona riuscita del nuovo governo, quantomeno per amore della città e di se stessi.

Per paradosso, invece, giorno dopo giorno abbiamo scoperto ciò che in realtà si temeva sin dall’inizio: il cordone ombelicale tra M5S e la giunta è così forte da tradursi in esplicita regia e, davanti agli sconquassi di queste settimane, in un commissariamento che oggi mette a nudo responsabilità multiple. Non solo quindi della Raggi ma anche di quei leader che, come i fatti dimostrano, erano perfettamente a conoscenza per esempio che l’assessore Muraro fosse indagata e solo per non perdere la faccia telegenica hanno preferito troncare e sopire, manzonianamente. 

C’è molto di manzoniano - anche se disperiamo del lieto fine - in questa storia romana. Luigi Di Maio, leader auto-azzoppato dall’affaire Muraro, è finito in una strettoia logica: o non ha capito la mail che lo informava di tutto o non ha detto la verità. Entrambe le ipotesi elidono la possibilità di occupare la scena politica con prestigio e carisma. Quindi ha sostenuto che «la verità ci rende più forti». Peccato che si sia scoperta 47 giorni dopo e non per iniziativa dei diretti protagonisti. Ma soprattutto, dobbiamo aggiungere, la verità rende liberi. In questo caso i primi a beneficiarne sarebbero stati i romani oltre che gli attenti elettori cinquestelle. Uno ad uno stanno cadendo i falsi miti costruiti fino ad oggi da una macchina del consenso brillante ed efficace. Ma per governare non basta la damnatio memoriae dei predecessori, non è sufficiente puntare semplicemente il dito contro un passato costellato da guasti ed errori da non ripetere. Questo vale per chi è in grado di non commettere passi falsi. Allo slogan «onestà, onestà» - come abbiamo detto più volte - andrebbe piuttosto affiancato quello «competenza, competenza».

E qui veniamo al cuore del problema. Nessun movimento politico che si ritenga e proclami autosufficiente e lontano da contagi può farcela, tagliando ogni legame con la parte migliore della società civile. Non è facendo guerra alle élites che si governa. Gramsci nel secolo scorso diceva che per avere successo in politica bisogna conquistare le casematte del sapere. Frase profetica e illuminante che fece il successo del Pci nel dopoguerra, fino agli eccessi egemonici che lo hanno poi travolto con l’autoreferenzialità.

Oggi Raggi e i cinquestelle stentano ad arruolare tecnici, burocrati, professori, imprenditori e professionisti, élites appunto. Roma di sicuro ne è provvista, pur nella attuale decadenza, ma una bella fetta di essi ben si guarda dal farsi coinvolgere in un’avventura che assomiglia troppo ad un implacabile tritacarne; l’altra fetta è addirittura attaccata e disprezzata dai cinquestelle che tra l’altro non concordano nemmeno sul profilo dei potenziali compagni di strada. Arrivano così gli infiltrati o gli opportunisti e le rispettive pericolose sottocategorie. 

Il problema è che questo avviene non più in una forza d’opposizione ma in un movimento al governo che invece alle classi dirigenti dovrebbe essere aperto e integrarle, farle circolare. Senza dimenticare che questa guerra oggi ha solo una vittima. Non un partito ma una città laboratorio, a dire dei cinquestelle, del governo nazionale: Roma. Quando si comincerà a governarla?
Ultimo aggiornamento: 11:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA