Sequestro Moro, i pm padovani
in commissione parlamentare:
«In via Fani un agente di Gladio»

Lunedì 19 Ottobre 2015 di Lino Lava
Via Fani, il giorno della strage
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PADOVA - C’era un "gladiatore" in via Fani la mattina del 16 marzo 1978.

Il colonnello dei carabinieri Camillo Guglielmi, passato al Sismi, disse di essere finito casualmente sul luogo del rapimento del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, e sul massacro della scorta da parte delle Brigate rosse. Si giustificò sostenendo che stava andando a pranzo da un collega.

Erano le 9,30 del mattino e a Roma nessuno pranza a quell’ora. Ma per i pubblici ministeri Sergio Dini e Benedetto Roberti, ex magistrati della Procura militare di Padova, il colonnello Guglielmi faceva parte dell’"esercito" clandestino di Gladio, ed era stato addestrato alla guerriglia urbana, a preparare bottiglie incendiarie, cariche esplosive su materiale ferroviario. Addestrato anche alle tecniche di sovversione e di propaganda su tutto ciò che riguardava l’attività di guerra interna. Il colonnello Guglielmi aveva partecipato alle esercitazioni di Capo Marrargiu in Sardegna, una delle basi di Gladio.

I pubblici ministeri Dini e Roberti lo hanno confermato nei giorni scorsi davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presieduta dall’onorevole Giuseppe Fioroni. I due magistrati avevano deposto anche davanti alla Commissione d’inchiesta sulle stragi, presieduta da Giovanni Pellegrino. Era il 20 giugno 1995. Oggi hanno ripetuto le stesse cose di allora, che sono i risultati della loro inchiesta sull’operazione Gladio.

In apertura dei lavori, il presidente Fioroni ha tracciato «cinque principali aree di interesse» da approfondire con gli ex magistrati militari. Tra queste, l’operatività, le finalità e le caratteristiche delle reti clandestine, il loro eventuale intervento in affari interni e nelle cosiddette politiche di controinsorgenza, nonchè gli eventuali rapporti con organizzazioni criminali.

Il profilo degli addestramenti a Capo Marrargiu del colonnello Guglielmi. Le tesi dei periti balistici, secondo i quali in via Fani le Brigate rosse usarono proiettili provenienti dai nascondigli di Gladio. Inoltre, il presidente Fioroni ha voluto conoscere i motivi per i quali l’inchiesta della Procura militare di Padova sull’organizzazione clandestina venne strappata di mano ai due pubblici ministeri e portata a insabbiarsi a Roma.

Era la mattina del 24 febbraio 1992. Dini e Roberti si erano imbattuti in un furgone dei carabinieri parcheggiato all’ingresso del Tribunale militare di Padova. I due magistrati si erano guardati con sospetto. Non erano in programma nè interrogatori di detenuti nè udienze. Saliti nei loro uffici avevano trovato ad attenderli un maresciallo e due appuntati. «Siamo venuti a prendere il fascicolo su Gladio per portarlo a Roma», dissero. Era stato da tre carabinieri che i due pubblici ministeri avevano appreso la notizia del provvedimento.

Dini e Roberti hanno raccontato ai membri della Commissione Moro che si erano accorti fin dall’inizio delle indagini che la rete clandestina era in mano ai Servizi, mentre il presidente del Consiglio, il Governo e il Parlamento non ne erano a conoscenza. In due anni di indagini hanno acquisito migliaia di documenti "segretissimi", sequestrati direttamente alla 7. Divisione del Sismi tra il 1990 e il 1992.

Il generale Gerardo Serravalle, capo dell’Operazione Gladio dal 1971 al 1974, confermò ai due magistrati militari che il colonnello Camillo Guglielmi aveva partecipato alle esercitazioni a Capo Marrargiu. Ma il nome di Guglielmi era anche nelle carte sequestrate. «Su di lui c’era un documento di una paginetta a mezza», hanno raccontato i due pubblici ministeri.

Le esercitazioni a Capo Marrargiu erano avvenute nel 1965-1966 e nel 1972-1973. «Nei documenti degli addestramenti dei membri effettivi dell’Ufficio D, il controspionaggio, vengono elencate anche le esercitazioni con gli esplosivi convenzionali e non convenzionali. Addirittura si addestravano anche far saltare le reti ferroviarie, vagoni ferroviari compresi», hanno detto i pubbblici ministeri.

In via Fani, dopo la strage della scorta e il rapimento di Aldo Moro, sono stati trovati 39 bossoli ricoperti da una vernice protettiva privi di data di fabbricazione. Una caratteristica, secondo i periti balistici, che porterebbe direttamente a Gladio.

Dini e Roberti hanno raccontato alla Commissione che i depositi di armi di Gladio erano i cosiddetti Nasco. Chi aveva le chiavi dei Nasco? «Dei Nasco erano a conoscenza gli appartenenti al nucleo che gravitava nella zona. Dovevano essere sparsi sul territorio in zone particolari, ma in un caso ce n’era uno proprio nel giardino di un gladiatore, che quindi ne aveva una disponibilità molto più diretta e immediata. Questo è ciò che si sa dei Nasco ufficiali, ma ci sono sicuramente dei Nasco mai censiti, che non si sa che fine abbiano fatto», hanno affermato i magistrati padovani.
Ultimo aggiornamento: 18:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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