L'ex procuratore: ​«Unabomber,
indagini sbagliate, non era solo»

Martedì 28 Aprile 2015 di Susanna Salvador
L'ex pg Labozzetta e l'ing. Zornitta
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PORDENONE - Dieci anni fa una candela esplosiva dilaniò la mano sinistra di una bambina di sei anni, Greta, che aveva appena finito di assistere alla messa nel Duomo di Motta di Livenza. "Unabomber torna in chiesa", titolava allora Il Gazzettino, riferendosi al folle, rimasto senza nome, che per lunghi anni ha terrorizzato con ordigni sempre più sofisticati Friuli e Veneto.



La piccola Greta è diventata una ragazza di 16 anni e porta ancora addosso i segni della follia di una persona alla quale nessuno - nemmeno un super pool creato per stanarlo sotto l'egida della Procura di Venezia - è riuscito a dare un volto. Ed è proprio sul pool di inquirenti e investigatori che punta il dito il procuratore della Repubblica Domenico Labozzetta, primo magistrato del Tribunale di Pordenone ad aprire un'inchiesta sul misterioso Unabomber: «Il pool ha creato una macchina abnorme e non è approdato a nulla». Labozzetta dal 2012 è in pensione, e negli anni quel sassolino nella scarpa - caduto quando fu deciso di togliere le competenze dell'inchiesta alle Procure di Pordenone e Udine per consegnarle con tanto di uomini e mezzi a quella di Venezia - deve essere diventato un macigno che si è tolto con malcelata soddisfazione. E l'ex procuratore punta il dito contro il pool.



La storia di Unabomber iniziò il 21 agosto 1994 quando un tubo metallico, il primo, esplose tra la folla della Sagra dei Osei, a Sacile, ferendo tre persone. A capo della Procura di Pordenone, allora, c'era proprio Domenico Labozzetta che non ha dimenticato quell'indagine per la quale furono spese tante risorse in termini di denaro e di uomini. Inutilmente. «Si, ricordo il primo tubo di Sacile: una fase ancora artigianale che poi via via nel tempo è andata perfezionandosi, diventando sempre più sofisticata e supportata dalla tecnologia più moderna, con congegni di ultima generazione per quegli anni, studiati per esplodere a tempo o a contatto».

Un "mostro" rimasto senza volto nè nome. Una pagina da dimenticare per gli organi inquirenti. Non crede?

«Sono sempre stato convinto, e lo sono ancora, che non si sia trattato di una sola persona, ma di più persone che hanno agito per emulazione e soprattutto per ottenere un effetto mediatico. Come quando sono stati presi di mira i supermercati delle grandi catene commerciali».

Ma allora il "pool di Unabomber", secondo lei, ha seguito una direzione sbagliata?

«La mia idea era ed è diversa. Da un tubo artigianale, come quello di Sacile, è difficile immaginare un'evoluzione come quella che c'è poi stata».

Un errore?

«Sì. Un errore metodologico, quello di Venezia, che ha cercato sempre un'unica persona per tutto quanto era accaduto. Uno sbaglio dal punto di vista delle indagini: bisognava cercare sì una singola persona, ma per ogni singolo episodio. L'errore è stato unire in un solo fascicolo tutte le vicende accadute in un decennio e più, e attribuirle a un solo colpevole. In questo modo l'indagine andava fatta, muovendosi in questa direzione. Ma Venezia ha scelto diversamente e i risultati si sono visti».

Quindi lei boccia senza appello il pool...

«Il pool veneziano ha creato una situazione abnorme di uomini e mezzi per non approdare a nulla. Mi sembra evidente».
Ultimo aggiornamento: 10:44

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