Monet, a Parigi scoppia la guerra
delle ninfee

Lunedì 27 Dicembre 2010 di Fabio Isman
Impression, soleil levant (1872)
PARIGI (27 dicembre) - Una mostra mai vista e impossibile da ripetersi: 175 quadri di Claude Monet (1840 - 1926) da tutto il mondo, dimostrano quanto sia famoso, celebre e richiesto, quasi un feticcio, il pittore di cui Paul Cézanne diceva «è solo un occhio, ma che occhio»; il «genio inventivo della visione» (Lionello Venturi), l’interiorità fatta immagine, lui che «scopre la sensazione visiva autentica, allo stato puro» (Giulio Carlo Argan). Fino al 24 gennaio, al Grand Palais c’est la folie: aperto di solito fino alle 22, nei week-end i non prenotati faticano a entrare, chi non ha pazienza si rassegna a vedere i capolavori dietro la schiena di tre o quattro persone, un sito web (www.Monet2010.com) strepitoso e interattivo, e un catalogo di 400 pagine destinato a divenire (dopo i quattro tomi di Daniel Wildenstein del 1996), opera di riferimento.



Dalle prime Foreste di Fontainebleau (1864 e 5) ai paesaggi e alle scogliere, alle notti i cui blu troveremo poi nelle Ninfee, alle donne con l’ombrellino e ai campi di papaveri, fino al suo giardino di Giverny che non lascerà più dopo un viaggio a Venezia (1908), Guy Cogeval, presidente del Muséé d’Orsay, dell’artista ha ottenuto quasi tutti i prestiti che sperava. Il biglietto, poi, è abbinato all’Orangerie, rinnovata nel 2006, sancta sanctorum del maestro con 35,75 metri d’una pittura alta 200 centimetri, universo frappant quanto pochi altri, che incrementa le visite e il trionfo.



Al Grand Palais, i Ponti e le Stazioni di Argenteuil, i Covoni di fieno, Cap Martin, Nebbie sul Tamigi e ovviamente Ninfee, Salici piangenti, Ponti giapponesi, quanto rimane del Déjeuner sur l’herbe, le Gare de Saint-Lazare (la prima in città), rare Nature morte, 20 Cattedrali di Rouen sono giunti da inaccessibili collezioni private, e dai maggiori musei di 15 Paesi. Tranne uno.



Il Marmottan, che a Parigi è «il museo di Monet»; ed anzi, fino al 20 febbraio, «per la prima volta» espone «tutta la collezione dell’artista»: 136 opere, compresi i disegni, le caricature, quadri mai visti. Per l’occasione, Impression soleil levant (1872), dipinto che dà il nome alla corrente più famosa, ha lasciato il suo posto nel seminterrato ed è onorato in una saletta apposta. Ellittici, spiegano solo: «Non ci siamo messi d’accordo». Talora, varcare i confini riconforta: questa “guerra delle ninfee”, da noi non ce la saremmo neppure sognata.



Ma pur senza un’opera determinante, l’esposizione di Parigi fa girare la testa: trasforma la “sindrome di Stendhal” in quella di Monet. Lo seguiamo fino al 1922: quando dona le Ninfee dell’Orangerie allo Stato francese, e da 10 anni è malato agli occhi; leggiamo le foto del vecchio patriarca dal barbone candido, gli Autoritratti; l’ammiriamo mentre realizza (parole sue) «un tutto senza fine, un’onda senza orizzonte e senza rive»; aveva iniziato dal Mediterraneo, spiegando che «le soleil est mon affaire», studiando gli effetti della luce. Perlustra in ogni dove la Senna presso Parigi: per farlo meglio, anche sul barcone-atelier (ma la Barnes di Filadelfia è tra gli ultimi musei a non prestare mai, e ha 181 Renoir, 69 Cézanne, 59 Matisse, 46 Picasso); le Président Sarkozy lo definisce, in catalogo, «l’emblema dell’irraggiamento della cultura francese» (e l’Italietta del settore ci fa star male con i suoi crolli di Pompei).



Più che la sua pittura, Monet ci lascia un universo intero; le sue serie sono un’indagine su un dettaglio del mondo, o un mondo stesso? L’immateriale diventa il suo regno, fino a fare riflettere sulla compagna ritratta nel letto di morte. Per capire la sua importanza, i francesi che queste cose le sanno fare, accompagnano le Cattedrali di Rouen con quanto Roy Lichtenstein ne aveva tratto, nel 1969. La Natura morta prende vita, i fiori di Hokusai lo affascinano; ma i suoi, restano irripetibili, e qui sono sciorinati in quantità. Il curatore spiega: «Ci siamo voluti dedicare alla natura e al paesaggio, anche se ci sono tanti ritratti»; la ricerca di come l’immagine può colpire al cuore, ma anche la mente. Guardando i suoi treni, si sente che sferragliano e che le vaporiere s’ingolfano; le sue Rocce di Pourville fanno venire voglia di tuffarsi (anche se ci si schianterebbe); ma perché nessuno ci ricorda, ad ogni passo, che ha reso davvero immortali eterne le Ninfee, il cui fiore resta aperto, peraltro, un giorno soltanto, dalla mattina alla sera?
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 18:51