Mateos, il braccio del presidente

Lunedì 30 Giugno 2014
"Io parlo in italiano con gli ambasciatori, in francese con le donne, in tedesco con i soldati, in inglese con i cavalli, in spagnolo con Dio." Lo diceva Carlo V, figlio di Filippo il Bello, arciduca d'Austria e signore dei Paesi Bassi e Giovanna la Pazza di Castiglia. Un po' come, senza voler essere irriverenti, Marcelo Mateos Aparicio, nuovo "direttore di campo" (la definizione è sua) del Pordenone, professionista in Lega Pro. Nato in Germania (Usingen) nel giorno di Natale del 1980, nome sudamericano, in realtà Mateos è tutto italiano. Eppure ha la simpatia tipica dei sudamericani, le capacità organizzative dei tedeschi e la diplomazia nota agli italiani. Una figura nuova al De Marchi che ha già portato, insieme a Lamberto Zauli, una rivitalizzante ventata di simpatia. Tutte da dimostrare, per entrambi, le capacità di trasferire mentalità, organizzazione ed entusiasmo al gruppo che avranno a disposizione. Il primo impatto però è positivo.
NEDVED E IO - Cosa fa un direttore di campo? «È un collaboratore tecnico - spiega Mateos -; uno che sta vicino alla prima squadra e fa da link fra spogliatoio e dirigenza. Avete presente Pavel Nedved alla Juventus? Ecco, io farò la stessa cosa al Pordenone. Sarò il braccio destro del presidente Lovisa». L'esperienza non gli manca. Alle spalle Mateos ha 11 stagioni da professionista (San Donà, Bassano, Portogruaro e Venezia sino alla C1), oltre a 7 in Lega D. «Avevo deciso di smettere con il calcio - racconta -, per dedicarmi tutto alla mia attività lavorativa in Brasile (è un immobiliarista, ndr)». A 34 anni, in verità, avrebbe potuto continuare a giocare. Aveva cercato di convincerlo Carmine Parlato (prima del divorzio) e anche lo stesso presidente Lovisa. «Sì - conferma il direttore di campo -, ma io preferisco smettere con un successo come la promozione in C piuttosto che un giorno sentirmi dire da qualcun altro che è il caso di appendere le scarpe al chiodo. In Terza serie avrei forse potuto giocare una quindicina di partite. Non fa per me. O riesco a dare tutto, o preferisco non dare niente. Io - sorride - sono fatto così».
UMANITÀ - Ruolo nuovo, nuova sfida. «Me l'ha cucito addosso - racconta Mateos - il presidente che, oltre alle mie capacità di giocatore, ha apprezzato le mie doti umane. Mi ha detto - strizza l'occhio - che nello spogliatoio sono fondamentale. Non ha impegato molto a convincermi».
COPPIA - Si dice anche che a suggerire Zauli a Lovisa sia stato proprio lui, dopo aver sentito i suoi ex compagni (Moro, Pradolin e Mei) che avevano avuto il fantasista come mister a Vicenza. «Non lo conoscevo - ribatte Mateos -. Dopo questi primi giorni insieme però posso dire che mi hanno favorevolmente sorpreso l'entusiasmo e al tempo stesso l'umiltà con la quale ha iniziato questa nuova avventura. Cosa rara - conclude - in persone che hanno avuto un passato nel grande calcio (Vicenza, Bologna e Palermo in serie A) come quello che ha avuto lui. Insieme - promette Mateos - faremo una bella coppia».
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