Lo stoicismo è stata sempre la mia filosofia, e Seneca (soprattutto Seneca),

Mercoledì 9 Aprile 2014
Lo stoicismo è stata sempre la mia filosofia, e Seneca (soprattutto Seneca), Epitteto e Marc'Aurelio le mie guide spirituali, i Virgili della mia coscienza, custodi della mia anima, forgiatori del mio carattere. Tengo le loro opere (i “Ricordi”, il “Manuale”, le “Lettere a Lucilio”) sul comodino, pungoli di meditazione, fonti di saggezza, sorgenti di vita interiore. Ogni sera, prima di addormentarmi e, la mattina, al risveglio, ne leggo alcune pagine, che mi aiutano ad affrontare con più vigore e fermezza la giornata, i suoi imprevisti, i suoi contrattempi, le sue avversità.
Fondatore dello stoicismo fu Zenone, nel III secolo avanti Cristo. Il filosofo era un materialista, intriso di un cinismo e di una dottrina eraclitea, ma i successori, influenzati dal platonismo, mitigarono la sua coriacea intransigenza, dando al movimento un'impronta etica. Per gli stoici, il vero valore dell'uomo, il baluardo e il fine della sua esistenza, è la virtù. Una virtù severa, che non ammette eccezioni e deroghe, non tollera cedimenti. Chi la possiede può sfidare il mondo e diventarne padrone. Il modello degli stoici è Socrate, condannato a morte dai giudici ateniesi, che non volle chiedere la grazia perché i verdetti del tribunale, che rappresenta lo Stato, anche se ingiusti, sommamente ingiusti, si devono accettare. Il buon cittadino non si ribella, e nemmeno contesta i soprusi del potere, legittimati da un crisma istituzionale. Lo stoico vive nel mondo e insegna a rintuzzarne la virulenza e l'aggressività. Non si piega mai alle forze ostili che lo contrastano. Gli tiene testa con la volontà e la fermezza. Se deve soffrire, soffre. Con la risolutezza e la dignità di chi non si arrende e non recrimina.
Scrive Seneca a Lucilio, l'interlocutore ideale delle splendide Lettere: “Dentro di noi risiede uno spirito sacro, il quale osserva e controlla tutte le nostre azioni, quelle buone e quelle cattive, e si comporta con noi nello stesso modo in cui noi ci comportiamo con lui. Nessun uomo virtuoso può essere tale se in lui non c'è la presenza di un Dio. Chi potrebbe infatti elevarsi al di sopra della sorte senza l'aiuto della divinità? Quando vedi un uomo impavido di fronte ai pericoli, libero da passioni, tranquillo nelle avversità, che contempla gli uomini dall'alto, come fanno gli dei, non ti pervade un senso di rispetto per lui? Non ti dici: ‘Questa sua dote è troppo grande e troppo alta perché possa appartenere al piccolo e misero corpo in cui si trova'? Una forza divina è discesa in quest'uomo, una potenza celeste guida il suo spirito straordinario, equilibrato, che va oltre le cose esteriori, come se non contassero nulla, che se la ride dei nostri timori e dei nostri desideri. Un uomo simile non potrebbe mantenersi così saldo, senza l'aiuto di un Dio. Perciò la parte maggiore di lui non sta qui sulla terra, ma lassù, da dove appunto è discesa” (“Guida alla saggezza”, traduzione di Mario Scaffidi Abate, Tascabili Newton).
Quanta sapienza spirituale e morale in queste parole, uscite dalla penna di un grande maestro del pensiero, Seneca, primo ministro di Nerone, suo Kissinger, poi caduto in disgrazia e condannato al suicidio. Una mente prodigiosa, un argomentatore sublime, un medico dell'anima, un terapeuta dello spirito, che predicò bene, e non sempre bene razzolò.
Ma la sua lezione, come quella di tutti gli stoici, è una lezione alta, altissima. Di cui chiunque dovrebbe fare tesoro.
La vita, con le sue infinite traversie, con le sue regole spietate, con il suo feroce accanimento, non può che avere uno scopo: metterci alla prova, fortificarci e fare di noi dei vincitori, non dei vinti. E se da questa vita poi, per imperscrutabili decreti, dobbiamo congedarci, usciamone destituiti, non dimissionari.