Il torto peggiore che si può fare a Barbara Trevisan è dirle che è brava. Nonostante dedichi gran parte del suo tempo libero (oltre alle sue risorse) a fare del bene, non si sente migliore degli altri.
Come è nata l'idea di fare la "claun"?
«Stavo frequentando un corso di comunicazione e così, quasi per caso, anche se per me nulla accade per caso, una persona mi ha confidato che era un claun di corsia. Incuriosita ho approfondito l'argomento. Ho così scoperto che a Pordenone esisteva "Vip Claunando" e da lì a un paio di settimane sarebbe partito l'annuale corso base di formazione. Superato il colloquio preliminare, sono diventata claun Soledad, sono entrata nella fantastica «famiglia claun» che nulla ha a che fare con i tradizionali clown. Il nostro scopo non è fare uno spettacolo, ma entrare in punta di piedi per un breve lasso di tempo nella vita di chi andiamo a visitare e donare momenti di spensieratezza e allegria a grandi e piccoli. Un sorriso non costa nulla e rende molto, arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo regala. Aiuta a ritrovare l'ottimismo e la forza».
Qual è la caratteristica principale del «claun di corsia»?
«Il cuore. La formazione continua è fondamentale perché ci permette di acquisire le competenze necessarie per affrontare i vari servizi; ci insegna qualità quali accoglienza, accettazione, ascolto, sintonia. Siamo attivi negli ospedali di Pordenone (ortopedia, pediatria, chirurgia) e San Vito (ortopedia), nelle case di riposo di Cavasso Nuovo, Pordenone, Cordenons. A breve partirà il progetto «Un claun in famiglia» con l'Assistenza domiciliare pediatrica di Pordenone».
In che modo riesce a farsi carico di sofferenze infinite per le quali a volte non esiste rimedio?
«Quando arrivo in una corsia di ospedale io non vedo malati, ma persone. Non vedo il dolore, ma quello che posso fare per dare sollievo. Non esiste un copione fisso. Entriamo in punta di piedi, in gruppetti di 4-6 volontari, in orari e date concordate, chiedendo sempre prima agli infermieri in quali stanze possiamo o meno operare. Bussiamo alla porta ed entriamo soltanto quando i pazienti ci danno il permesso e improvvisiamo: abbiamo sempre pronti qualche piccola magia o qualche piccolo trucchetto per rompere gli indugi, ma sappiamo adattarci alle varie situazioni. Capita di ricevere dei rifiuti, ma li accettiamo».
Non vivete mai un momento di cedimento?
«Il nostro motto è "Uniti per crescere insieme". Nel corso degli allenamenti impariamo a conoscerci per aumentare la sintonia del gruppo ed essere più forti davanti ai pazienti. Basta uno sguardo per cogliere un momento di debolezza e correre in aiuto di un compagno».
Cosa la spinge a vivere il tempo libero in corsia?
«È qualcosa di innato, una passione che ho da tempo. Per questo motivo non mi sento brava. Vedere qualcuno che sta attraversando un periodo difficile della vita e che ti ringrazia soltanto per il fatto di essere lì al suo fianco anche per poco tempo, mi riempie il cuore di pura gioia, mi infonde energia. La vita non è sempre facile, ogni giorno ci troviamo ad affrontare degli ostacoli, ma fare il claun di corsia aiuta ad avere una visione diversa, un nuovo punto di vista, perché ciò che ricevo è molto di più di ciò che dono. Riesco a ridimensionare i problemi, riscopro la bambina che c'è in me, sviluppo la fantasia, la creatività, la capacità di vedere in positivo. Non ne ho avuti di miei, anche se da piccola dicevo sempre che un giorno ne avrei avuti un milione, ma ne ho tantissimi nel cuore: qui e in India, dove conto al più presto di tornare».
Come mai proprio l'India?
«Ho avuto l'opportunità di partecipare a una Missione claun perché l'associazione nazionale "Vip Italia" (alla quale quella di Pordenone è collegata, ndr) svolge volontariato anche attraverso alcune missioni nel mondo. A ottobre dello scorso anno sono partita con un gruppetto di otto claun alla volta di Lucknow, nella regione dell'Uttar-Pradesh, nel Nord Est dell'India. Per un paio di settimane siamo stati ospiti di un orfanotrofio di Don Bosco, dove 54 tra bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 19 anni vivono con padre Swanoop, un prete cattolico indiano. È stata un'esperienza meravigliosa che mi ha arricchita ulteriormente. Abbiamo vissuto 24 ore su 24 con questi bambini cresciuti in strada, dove hanno subito violenze di ogni tipo. Alcuni sono senza genitori, altri hanno famiglie talmente povere che preferiscono lasciarli lì, dove almeno mangiano e studiano. Non è stato facile. Abbiamo cercato di infondere loro il nostro pensiero del vivere in positivo, trasmettendo loro gioia e amore. Questi bambini sono in realtà dei piccoli adulti, perché hanno sofferto già in tenera età, ma possono esprimere un affetto immenso. Ci hanno trasmesso l'amore con la «A» maiuscola, come dico io, perché non dispongono di nulla, ma sanno donare tutto; non sono abituati a ricevere un abbraccio o una carezza, ma una volta compreso il valore, ricambiano senza remore».
Che cosa ha trovato in India che qui non c'è?
«Occhi luccicanti che esprimono gratitudine. Mani che prendono le tue per farti capire che "sono qui con te". Abbracci che trasmettono l'energia dell'amore puro. Sorrisi che illuminano il cuore e accarezzano l'anima. Tutto senza chiedere nulla in cambio, senza aspettative. Mi hanno insegnato a vivere il momento, completamente, lasciando fluire i pensieri, senza tempo, perché sei qui, ora».
© riproduzione riservata
Come è nata l'idea di fare la "claun"?
«Stavo frequentando un corso di comunicazione e così, quasi per caso, anche se per me nulla accade per caso, una persona mi ha confidato che era un claun di corsia. Incuriosita ho approfondito l'argomento. Ho così scoperto che a Pordenone esisteva "Vip Claunando" e da lì a un paio di settimane sarebbe partito l'annuale corso base di formazione. Superato il colloquio preliminare, sono diventata claun Soledad, sono entrata nella fantastica «famiglia claun» che nulla ha a che fare con i tradizionali clown. Il nostro scopo non è fare uno spettacolo, ma entrare in punta di piedi per un breve lasso di tempo nella vita di chi andiamo a visitare e donare momenti di spensieratezza e allegria a grandi e piccoli. Un sorriso non costa nulla e rende molto, arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo regala. Aiuta a ritrovare l'ottimismo e la forza».
Qual è la caratteristica principale del «claun di corsia»?
«Il cuore. La formazione continua è fondamentale perché ci permette di acquisire le competenze necessarie per affrontare i vari servizi; ci insegna qualità quali accoglienza, accettazione, ascolto, sintonia. Siamo attivi negli ospedali di Pordenone (ortopedia, pediatria, chirurgia) e San Vito (ortopedia), nelle case di riposo di Cavasso Nuovo, Pordenone, Cordenons. A breve partirà il progetto «Un claun in famiglia» con l'Assistenza domiciliare pediatrica di Pordenone».
In che modo riesce a farsi carico di sofferenze infinite per le quali a volte non esiste rimedio?
«Quando arrivo in una corsia di ospedale io non vedo malati, ma persone. Non vedo il dolore, ma quello che posso fare per dare sollievo. Non esiste un copione fisso. Entriamo in punta di piedi, in gruppetti di 4-6 volontari, in orari e date concordate, chiedendo sempre prima agli infermieri in quali stanze possiamo o meno operare. Bussiamo alla porta ed entriamo soltanto quando i pazienti ci danno il permesso e improvvisiamo: abbiamo sempre pronti qualche piccola magia o qualche piccolo trucchetto per rompere gli indugi, ma sappiamo adattarci alle varie situazioni. Capita di ricevere dei rifiuti, ma li accettiamo».
Non vivete mai un momento di cedimento?
«Il nostro motto è "Uniti per crescere insieme". Nel corso degli allenamenti impariamo a conoscerci per aumentare la sintonia del gruppo ed essere più forti davanti ai pazienti. Basta uno sguardo per cogliere un momento di debolezza e correre in aiuto di un compagno».
Cosa la spinge a vivere il tempo libero in corsia?
«È qualcosa di innato, una passione che ho da tempo. Per questo motivo non mi sento brava. Vedere qualcuno che sta attraversando un periodo difficile della vita e che ti ringrazia soltanto per il fatto di essere lì al suo fianco anche per poco tempo, mi riempie il cuore di pura gioia, mi infonde energia. La vita non è sempre facile, ogni giorno ci troviamo ad affrontare degli ostacoli, ma fare il claun di corsia aiuta ad avere una visione diversa, un nuovo punto di vista, perché ciò che ricevo è molto di più di ciò che dono. Riesco a ridimensionare i problemi, riscopro la bambina che c'è in me, sviluppo la fantasia, la creatività, la capacità di vedere in positivo. Non ne ho avuti di miei, anche se da piccola dicevo sempre che un giorno ne avrei avuti un milione, ma ne ho tantissimi nel cuore: qui e in India, dove conto al più presto di tornare».
Come mai proprio l'India?
«Ho avuto l'opportunità di partecipare a una Missione claun perché l'associazione nazionale "Vip Italia" (alla quale quella di Pordenone è collegata, ndr) svolge volontariato anche attraverso alcune missioni nel mondo. A ottobre dello scorso anno sono partita con un gruppetto di otto claun alla volta di Lucknow, nella regione dell'Uttar-Pradesh, nel Nord Est dell'India. Per un paio di settimane siamo stati ospiti di un orfanotrofio di Don Bosco, dove 54 tra bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 19 anni vivono con padre Swanoop, un prete cattolico indiano. È stata un'esperienza meravigliosa che mi ha arricchita ulteriormente. Abbiamo vissuto 24 ore su 24 con questi bambini cresciuti in strada, dove hanno subito violenze di ogni tipo. Alcuni sono senza genitori, altri hanno famiglie talmente povere che preferiscono lasciarli lì, dove almeno mangiano e studiano. Non è stato facile. Abbiamo cercato di infondere loro il nostro pensiero del vivere in positivo, trasmettendo loro gioia e amore. Questi bambini sono in realtà dei piccoli adulti, perché hanno sofferto già in tenera età, ma possono esprimere un affetto immenso. Ci hanno trasmesso l'amore con la «A» maiuscola, come dico io, perché non dispongono di nulla, ma sanno donare tutto; non sono abituati a ricevere un abbraccio o una carezza, ma una volta compreso il valore, ricambiano senza remore».
Che cosa ha trovato in India che qui non c'è?
«Occhi luccicanti che esprimono gratitudine. Mani che prendono le tue per farti capire che "sono qui con te". Abbracci che trasmettono l'energia dell'amore puro. Sorrisi che illuminano il cuore e accarezzano l'anima. Tutto senza chiedere nulla in cambio, senza aspettative. Mi hanno insegnato a vivere il momento, completamente, lasciando fluire i pensieri, senza tempo, perché sei qui, ora».
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