Bossi rilancia: «Zaia segretario federale?
Perché no, il Veneto non l’ha mai avuto»

Domenica 29 Aprile 2012 di Paolo Calia
Umberto Bossi con Luca Zaia ieri a Conegliano (PhotoJournalist)
TREVISO - Non una piazza, non la saletta di una sezione di periferia, ma nemmeno la sala conferenze di un albergo: bens un parcheggio lungo la Pontebbana, con le auto che strombazzano e le moto che rombano. Questa la location, alquanto dimessa, scelta per ospitare Umberto Bossi nella sua unica puntata in provincia di Treviso: il parcheggio dell'Hotel Eurorerst di Conegliano, attrezzato per l'occasione. Quasi la metafora di una parabola in fase discendente.



Un gazebo bianco al cancello dovrebbe dare l'impressione di una sorta di "filtro", mentre il bancone-bar davanti all'ingresso, e sotto una grande tettoia bianca, tenta di portare un tocco di eleganza. Ad accogliere Bossi non più di duecento persone: sono lontani i tempi delle folle traboccanti. Ma quelli presenti sono tutti militanti selezionati, tanti amministratori, i fedelissimi reclutati dal leader veneto Gian Paolo Gobbo e dal segretario provinciale Giorgio Granello per mostrare a tutti che il grande capo non si discute ma lo si accoglie con i dovuti onori. «Noi non ci nascondiamo», ruggisce Gobbo tanto per respingere definitivamente le chiacchiere sulla freddezza dei leghisti trevigiani nei confronti di Bossi.



Sul palco tutti i nomi che contano. C'è il governatore Luca Zaia, che Bossi benedice: «Zaia come segretario federale? E perché no? Il Veneto non ne ha mai avuto uno». Infatti: al timone c'è sempre stato lui, ma adesso il vento del cambiamento soffia impetuoso. Ci sono parlamentari e consiglieri regionali, compreso il capogruppo Federico Caner. Tutti a fare quadrato attorno al vecchio leader che, nonostante gli scandali, il Trota e l'ombra delle tangenti, non ha nessuna intenzione di mollare: «Io non posso ritirarmi, altrimenti accuserebbero di quanto accaduto ad altri. Io ho fatto la Lega. Resto perché devo garantire la continuità ma anche perché sennò se la prenderebbero con qualcun altro».



La piccola folla si sforza di dimostrarsi calorosa, ce la mette tutta per far sentire a proprio agio il Capo. Ma con risultati altalenanti. Quando alle 18,40, con soli quaranta minuti di ritardo, Bossi si palesa sul palco l'urlo «Bossi, Bossi» si alza da una decina di persone sedute in prima fila. Nessun boato. «Facciamo sentire come la Sinistra Piave accoglie Umberto», urla Zaia per riscaldare l'ambiente. E i decibel aumentano.



Bossi parla con consumata esperienza ma con un filo di voce. Tenta di toccare i cuori descrivendo la nuova battaglia della Lega sul fronte delle leggi d'iniziativa popolare, attacca Monti, ma non può evitare gli accenni agli scandali. Non nomina mai l'ex tesoriere Francesco Belsito, ma è a lui che fa riferimento quando dice «Hanno infilato nella Lega un uomo legato alla mafia calabrese» rispolverando la teoria del complotto. Poi rilancia: «La Lega non è il Partito socialista, il Psi che aveva rubato i soldi e ha preso tangenti. La Lega i soldi li avrà sprecati, ed ora è meglio che venga fuori tutto per ripartire». Prova a salvare i suoi figli: «Se sono entrati nella vicenda è perché masticano Lega fin da piccoli e con essa sono cresciuti ed hanno voluto entrarci». Glissa sul caso Stiffoni, il senatore trevigiano autosospeso per via delle indagini sulla gestione dei rimborsi elettorali: «Di Stiffoni non so niente. Gli ho chiesto l'altro giorno "sei tu che hai preso i soldi visto che eri il tesoriere? (del gruppo al Senato, ndr)" e lui mi ha risposto che i soldi li avevano presi prima. Verificheremo tutto».
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 20:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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